Il fattore più importante che causa infortuni

Il fattore più importante che causa infortuni

Qual è il fattore più importante – e spesso dimenticato – che causa infortuni?

Oggi indosserò per te il camice da scienziato pazzo e ti parlerò di leggi, formule e teorie…
Sei pronto per questo nuovo viaggio?

Ovviamente sto scherzando..

Quello di cui ti voglio parlare, più che una teoria, è un vero e proprio modo di pensare che molti lavoratori, purtroppo, applicano all’interno dell’azienda.

Prima di questo però, voglio raccontarti una storia di un imprenditore successa realmente.

Naturalmente non posso fare nomi e cognomi, perciò la chiamerò l’azienda del Sig. Rossi.

Questo imprenditore stava cercando di capire come sistemare la situazione sicurezza delle sue 2 aziende.

Lui era un imprenditore tuttofare, con l’indole del venditore nel sangue (frutto dei suoi numerosi anni di esperienza nel campo della vendita), gestiva clienti e fornitori e andava a caccia di nuovi appalti durante il giorno, delegando la parte sicurezza e direzione ai suoi due fidati collaboratori.

Due giovani dipendenti che avevano dimostrato affidabilità e una buona leadership nel corso del tempo.

Aveva anche investito molto per la sicurezza dei suoi operai, tra cui nuovi macchinari CNC con tutte le protezioni necessarie.

Il problema però è che tutto questo servì a poco.

Mi parlò di un piccolo incidente ad un suo dipendente… a causa delle protezioni mancanti nel macchinario!

Questo fu un fulmine a ciel sereno, non era mai successo niente di così grave in azienda, ma quello che scoprì in seguito fu davvero clamoroso…

Com’è possibile che sia capitato un incidente a causa delle protezioni mancanti, se il macchinario era perfettamente a norma?

E’ presto detto:

Per comodità, i dipendenti avevano tolto le protezioni alle frese cnc di tutta l’azienda, oltre al fatto che non indossavano i caschi di protezione, perché “troppo stretti” e che provocavano un “cerchio alla testa”.

Quando si confrontò con i 2 responsabili, ne uscì la seguente frase: “Capo abbiamo sempre lavorato così e non mai successo niente!”

Questa frase, nel mio lavoro con tante aziende, l’ho sentita milioni di volte.

In realtà è un principio tipico della nostra mentalità, quello di pensare che andrà sempre tutto bene così come abbiamo sempre fatto.

Il cuore del problema

La causa dell’incidente, è la mancata inosservanza delle regole fondamentali della sicurezza e nel farle rispettare da parte dei responsabili.

Togliere le protezioni a un CNC per comodità, o perché non è mai successo e di conseguenza non succederà mai.

In realtà questa frase nasconde un errore logico molto comune anche nelle discussioni di tutti i giorni che in retorica è definito “ricorso all’antecedente”, ovvero istituire un paragone sbagliato nel tempo.

Non è mai successo prima, quindi non succederà mai.
Viceversa, è già successo una volta e dunque succederà ancora.

Il fatto che finora, pur non rispettando le norme della sicurezza sia andato tutto bene, non significa che andrà sempre tutto per il verso giusto.

I 3 fattori che causano infortuni

Le cause degli infortuni sul lavoro generalmente rientrano in 3 fattori:

  • Tecnici
  • Accidentali
  • Umani

Tralasciando i primi 2 (non meno importanti), il fattore umano è quello che occupa una posizione di predominanza rispetto agli altri.

Spesso ci si preoccupa (come nel caso dell’azienda del Sig. Rossi) di possedere il DPI migliore con tutte le protezioni ai macchinari, ma ci si dimentica che sono le persone a fare la differenza attraverso comportamenti sicuri e maggiore responsabilità.

Ci si concentra e si spende più tempo per evitare errori tecnici o disgrazie, ma non si dedica il giusto tempo nell’ascoltare i bisogni dei lavoratori e a una sana comunicazione a tutti i livelli organizzativi.

E questo riguarda sia le aziende più piccole come in questo caso, quanto le realtà più grandi.

Occuparsi di sicurezza solo come una questione tecnico-burocratica, investendo in strumenti tecnologici che ci illudono di dormire sonni tranquilli, non basta.

La Sicurezza sul lavoro non è un tuo nemico

Storie come questa, le ho sentite più volte durante la mia esperienza e tutte hanno un comun denominatore: la mancanza di una vera e propria cultura della Sicurezza all’interno dell’azienda.

Un consulente della Sicurezza o un responsabile interno che ha questo compito, deve possedere oltre alla conoscenza teorica normativa, tutta una serie di soft skills che permettano di motivare le persone e renderle responsabili nei confronti del Safety.

In questo caso, ciò che è mancato di più da parte dei responsabili è: comunicazione e ascolto.

Mancata comunicazione sia nei confronti dell’imprenditore sia nei confronti dei lavoratori.

Mancato ascolto invece per quanto riguarda i problemi dei lavoratori con la sicurezza.

Spesso la sicurezza viene vista come un nemico da combattere o da evitare, un insieme di pratiche noiose che fanno perdere tempo.

Il lavoro che dev’essere fatto invece è quello di rendere la sicurezza tua amica.

Mi spiego meglio…

Un responsabile, che ha come obiettivo il far applicare le norme e le protezioni necessarie, deve far capire perché sono fondamentali e mostrare lo scenario peggiore possibile.

Un po’ come un abile venditore che per vendere un prodotto o creare un bisogno proietta la tua mente nello scenario peggiore possibile e ti mostra come il suo prodotto possa realmente aiutarti.

Per fare questo però, non devi porti come il vigile minaccioso pronto a multare tutti..

Quello che insegniamo nel metodo Safety Coaching è che un vero professionista non spinge MAI a raggiungere un obiettivo a suon di bastonate…

Si tratta invece di incoraggiare e di motivare, accompagnando l’apprendimento e la scelta dei giusti comportamenti.

Un Safety Coach ha assoluto interesse nel portare i lavoratori a rispettare norme e comportamenti, raggiungendo così l’obiettivo ZERO infortuni, ma lo fa in modo distaccato.

Non fraintendermi, per distacco non intendiamo certo menefreghismo, anzi, è piuttosto mostrare alla persona come fare i primi passi e lasciarla libera di apprendere stimolando la riflessione autonoma.

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