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Near miss: l’arma sottovalutata del Safety

Oggi parliamo di un argomento tanto importante per la sicurezza, quanto sottovalutato: i NEAR MISS (anche detti “quasi infortunio” o “mancato incidente).

È un termine usato per indicare un particolare evento, che sarebbe potuto trasformarsi in incidente o infortunio sul lavoro, ma che per circostanze fortuite non si verifica.

I near miss rappresentano le basi per correggere tempestivamente le procedure e i comportamenti potenzialmente pericolosi nelle aziende.

Il lavoratore vittima di un mancato incidente, dovrebbe comunicarlo al proprio Consulente o Responsabile della Sicurezza, il quale avrebbe la possibilità di prendere provvedimenti, ai fini di ridurre il rischio.

Questa sarebbe la fotografia perfetta del mondo ideale del Safety, sei d’accordo?

Tuttavia c’è un problema…

Le cose non stanno proprio così.

Nonostante la segnalazione dei Near Miss sia un elemento di estrema importanza per tutto il processo di sicurezza aziendale, essendo un’attività totalmente a carico del lavoratore, viene spesso trascurata.

Questo succede essenzialmente per diversi motivi, tra cui:

1- Un sistema motivante sbagliato all’interno dell’azienda, per cui si premia la mancanza di infortuni. Il che fa percepire la segnalazione di un potenziale incidente, in una forma di penalità.

2 – La paura di essere ripresi o malvisti da superiori e colleghi, col rischio di venire etichettati come “spie” o “lecchini”.

3 – La convinzione che la segnalazione non serva a nulla e non interessi a nessuno.

4 – La fallacia dello scommettitore. Un bias mentale che porta all’errata credenza che eventi passati, possano influire su eventi futuri.

Per farti capire cosa intendo con quest’ultimo punto, ti riporto l’esempio del gioco del Lotto.

Molto spesso i giocatori incalliti, ogni settimana puntano assiduamente sui soliti numeri ritardatari convinti che “prima o poi usciranno”.

Ovviamente non c’è nulla di vero in tutto questo, eppure un giocatore è convinto del contrario.

C’è una barzelletta molto simpatica su questo tema che chiarisce bene la natura di questo errore, ovvero:

Una persona prende un aereo portando una bomba con sé. 

Il motivo è che, statisticamente, le probabilità che su un aereo ci sia una bomba sono molto basse. 

Di conseguenza, le probabilità che ce ne siano due sono praticamente pari allo ZERO

Ora torniamo a fare i seri.

Supponiamo che Mario, un operaio, abbia appena rischiato di perdere un dito in una pressa, ma fortunatamente può continuare a contare dieci dita sulle mani… 

Dopo qualche sudore freddo, qual è il dialogo mentale che normalmente avverrebbe nella sua testa?

“Ho rischiato davvero grosso. D’ora in avanti starò più attento e tutto filerà liscio.”

Il lavoratore in questo caso, ha l’assoluta certezza che semplicemente prestando più attenzione, non potrà succederà più nulla.

L’errore madornale, è pensare che questo sia sufficiente.

Oltre a essere una convinzione totalmente falsa, è anche controproducente per l’azienda stessa e gli altri lavoratori.

La cosa che Mario dovrebbe fare, è segnalare a chi di dovere il Near Miss, in modo tale che si possa analizzare il PERCHÉ sia successo, in modo da ridurre il rischio che si ripresenti lo stesso problema.

Statisticamente sono molto maggiori le segnalazioni di incidenti e infortuni già avvenuti, rispetto a quelle dei “mancati”. Ma dovrebbe essere il contrario.

Sembra una banalità ma non lo è affatto…

Anche la gestione efficace dei Near Miss rientra nelle skill di un vero Safety Coach, il cui ruolo è motivare i lavoratori alla sicurezza sul lavoro e diffondere la cultura del safety nelle aziende. 

Safety Coach VS Convinzioni… chi vincerà?

Esistono delle forze invisibili che ci spingono a compiere scelte discutibili e spesso al limite dell’irrazionale.

Queste forze si chiamano convinzioni e se guardiamo al passato, hanno avuto un peso decisivo su numerosi accadimenti storici.

Un esempio?

Parliamo della teoria geocentrica…

Come saprai, ai tempi di Aristotele c’era la convinzione che il pianeta Terra fosse al centro dell’Universo, mentre gli altri corpi celesti le ruotavano attorno.

Una teoria (o convinzione) accettata universalmente da tutti, dovuta soprattutto alle scarse conoscenze della fisica che c’erano allora.

Nel corso dei secoli però, personaggi illustri come Giordano Bruno e Galileo Galilei confutarono tale teoria… con terribili conseguenze.

Il primo fu accusato di eresia e condannato al rogo, mentre il secondo, sospettato anch’egli di eresia, fu condannato e costretto a rinnegare le sue concezioni astronomiche, seppur vere!

Perché ho voluto raccontarti questo terribile fatto storico?

Ci arriviamo…

Se mi segui da un po’, o comunque ti appassiona la crescita personale, sicuramente avrai sentito parlare di convinzioni, e a quali conseguenze possono portare.

Se parliamo di sicurezza sul lavoro poi, tutto si aggrava.
Lo ripeto all’infinito ed è ormai una cosa piuttosto banale:

I lavoratori spesso non rispettano le procedure di sicurezza… e il più delle volte tutto parte da convinzioni errate.

Dico bene?

Quello che invece non è scontato (e su cui non si indaga mai a fondo), è capire la natura di queste convinzioni e soprattutto come modificarle.

Ma che cosa sono le convinzioni?

Secondo Robert Dilts, trainer e consulente internazionale, le convinzioni nascono per dare una spiegazione (spesso irrazionale) a ciò che vediamo.

Ora, se non conosciamo la natura di un determinato fenomeno, tentiamo di trovare una spiegazione per noi valida, ma che molto spesso non coincide con la realtà.

Le convinzioni vengono spesso definite anche come “Una sensazione di certezza riguardo qualcosa”

Esistono invece 3 tipologie in cui vengono suddivise le convinzioni:

1. Sulle cause

Sono convinzioni che nascono dalla nostra esperienza.

Un esempio tipico nel mondo della sicurezza, potrebbe essere quando il lavoratore non indossa le dovute protezioni, a causa di abitudini pregresse:
“Ho sempre fatto così e non si è mai verificato un solo incidente.”

2. Sul significato

Queste convinzioni nascono da pensieri limitanti che abbiamo su noi stessi.

Se pensiamo che i nostri fallimenti siano indice di debolezza, allora non ci attiveremo mai per raggiungere il cambiamento desiderato.

3. Sull’identità

Queste convinzioni riguardano i principi e i valori che formano il nostro pensiero e che ci condizionano.

L’identità rappresenta il modo in cui ti percepisci. Spesso su questo punto ritroviamo le scelte sbagliate prese dai ragazzi in giovane età “Mettersi il casco è da sfigati” oppure “Se non allaccio le cinture sono più figo

Chiarito questo vediamo:

Come agisce un consulente o responsabile della sicurezza (mediocre)

Abbiamo appurato che le convinzioni esistono e rappresentano una sorta di risposta comoda, che diamo a ciò che vediamo o non comprendiamo.

Abbiamo anche visto come in passato le persone siano arrivate persino a condannare al rogo altre persone, solo per il fatto di aver criticato convinzioni radicate.

La domanda che sorge spontanea ora è:

Si possono modificare?

Qui iniziano i problemi…

Prendiamo l’esempio di un consulente o responsabile della sicurezza classico.

Pur sapendo che esistono le convinzioni sbagliate, e che determinati atteggiamenti del lavoratore possono portare a terribili conseguenze,
non fa nulla di particolare.

Mi spiego:

Questo tipo di “professionista”, si limita a fare il suo compitino, spiegando i rischi, dando indicazioni sui DPI da indossare e ripetendo a pappagallo le solite 4 norme.

Il problema è che questo modo di fare Sicurezza non funziona. È del tutto controproducente.

Il lavoratore rimarrà con la propria convinzione mentre il responsabile o consulente più che come un “Coach” sarà visto come un “Vigilantes”. E sappiamo bene quanto sia difficile ottenere risultati in questo modo.

Ecco come agisce un Safety Coach

Quello che fa un Safety Coach è innanzitutto indagare sul PERCHÉ nasce nel lavoratore una determinata convinzione.

Dopodiché il passo successivo è stabilire una relazione di fiducia con lui, cercando di entrare nella sua mente e capire i suoi schemi di pensiero.

“Qual è il suo ideale di sicurezza?”

“Perché ritiene che indossare i DPI sia una perdita di tempo?”

Per trovare queste risposte, il Safety Coach si serve dell’ascolto attivo, affiancando tutti i livelli aziendali come un partner di sviluppo, e delle domande per generare consapevolezza (tipiche del Coaching classico):

“Quale pensi che sia il modo migliore per mantenere in sicurezza questo reparto?”

“Perché secondo te è importante proteggersi in questa lavorazione?”

Domande di questo genere, servono per coinvolgere attivamente il lavoratore e aumentare la sua consapevolezza in autonomia.

Solo così è possibile spingerlo a riconoscere i rischi di determinati comportamenti e modificare, passo dopo passo, le convinzioni limitanti.

Giucas Casella Safety Coach?

Ma cos’è un Safety Coach?

È una sorta di “Giucas Casella” che trasforma i lavoratori indisciplinati in perfetti scolaretti, utilizzando tecniche ipnotiche di dubbia efficacia?

Se anche tu hai questo dubbio o qualcosa del genere, la risposta è NO. Niente di tutto questo.

Purtroppo quando parlo dell’importanza di acquisire soft skill, spesso le persone non percepiscono il reale valore di tali competenze.

Tendono infatti ad etichettare tutto come un qualcosa di astratto o semplice fuffa.

I nostri eventi non sono show o spettacoli di magia, dove il GURU di turno salta, urla e parla di concetti astratti, ma vere e proprie giornate formative dove insegniamo ai professionisti come motivare davvero i lavoratori, per agire in sicurezza.

Mentre il classico professionista di turno si limita a dire ai lavoratori cosa fare per rispettare le norme di sicurezza, un Safety Coach va ben oltre a tutto questo…

È un esperto di conversazioni strategiche.

“Ok Matteo, ma nella pratica cosa significa?”

Ora te lo spiego…

Il pentagono della sicurezza

Conversare strategicamente significa che ogni nostra comunicazione, sia che si tratti di una riunione di coordinamento o un momento di formazione, dovrebbe portare a questi 5 obiettivi:

  1. Aumentare la relazione e la fiducia con l’interlocutore;
  2. Rinforzare i comportamenti sicuri;
  3. Invitare il lavoratore a riconoscere in autonomia i rischi e le soluzioni da adottare;
  4. Rendere consapevoli degli errori commessi, rispetto alle procedure di sicurezza;
  5. Modificare mappa mentale e comportamenti del proprio pubblico.

Relazione, Rinforzo, Autonomia, Consapevolezza e Comportamenti, sono i 5 elementi che costituiscono il nostro pentagono della sicurezza, una visione comunicativa che ti permetterà di rendere più efficaci le tue conversazioni in azienda.

Vediamoli nel dettaglio:

Relazione

Per relazione s’intende la capacità di essere identificati come un punto di riferimento all’interno dell’azienda, mantenendo quel giusto mix di disponibilità e comprensione.

Ti faccio un esempio:

Sicuramente sarà capitato anche a te durante il periodo scolastico di aver quel professore sempre a disposizione per dubbi, consigli e aperto al dialogo in caso di problemi.

Una persona con cui potevi confrontarti e avere tutto il supporto di cui avevi bisogno.

Quando si trattava di lavorare però non faceva sconti: pretendeva impegno, disciplina e risultati.

Ecco, questo è l’esatto tipo di relazione che devi avere con i lavoratori, comprensivo e disponibile, ma sempre orientato ai risultati.

Rinforzo

Ogni conversazione deve sempre sottolineare i progressi che sono stati fatti.

Perché?

Perché il rinforzo positivo è il più grande alleato nella costruzione dei comportamenti sicuri.

Riconoscere i piccoli passi e l’impegno dei lavoratori, anche con una semplice pacca sulla spalla, da sicurezza e motivazione nel continuare a seguire comportamenti più funzionali.

Autonomia

Nella precedente newsletter, abbiamo parlato di quanto dire agli altri cosa fare o impartire ordini, non sia mai la soluzione vincente.

La bellezza dell’apprendimento infatti, consiste nella capacità di fare esperienza in completa autonomia.

Che significa?

Vuol dire che per stimolare l’apprendimento e la motivazione nel fare sicurezza, ogni nostra conversazione deve far riflettere il lavoratore sui rischi e le possibili soluzioni, in autonomia.

Per aiutarti in questo, una delle colonne portanti del nostro metodo, sono le domande per creare consapevolezza.

Ad esempio:

“Quali comportamenti sono da adottare in questa situazione?”

“Quali sono i pericoli in questa particolare attività?”

“Quali DPI adotteresti in questa lavorazione?”

Domande di questo tipo, stimolano il lavoratore a trovare dentro di sé le risposte utili a sviluppare comportamenti sicuri.

Consapevolezza

Se l’autonomia è un punto fondamentale per responsabilizzare il lavoratore, può succedere però che ogni tanto, il lavoratore commetta qualche errore o dimenticanza.

Qui il compito del Safety Coach è quello di aiutare il lavoratore a comprendere lo sbaglio e fornire poi un’indicazione precisa su cosa fare per rimediare.

Convinzioni e Comportamenti

Ogni conversazione strategica ha sempre il compito di concludersi con 2 passaggi molto importanti:

  1. Creare convinzioni più funzionali, ad esempio il lavoratore riconosce l’importanza di lavorare in piena sicurezza.
  2. Stimolare il cambio di comportamenti poco virtuosi, il lavoratore agisce in base a ciò che ha compreso, ovvero lavorare rispettando le procedure di sicurezza.

Ecco come agisce un Safety Coach

Vediamo adesso un esempio di conversazione reale…

Supponiamo che il nostro lavoratore, Mario, abbia dimenticato di indossare il suo caschetto protettivo e Luca, il responsabile della sicurezza, se ne sia accorto.

Ora, Luca potrebbe fiondarsi come un falco in picchiata sul povero Mario e redarguirlo severamente sull’errore commesso, magari minacciando di inviare un richiamo scritto.

Così facendo però, non solo Mario non capirebbe la gravità dell’errore, magari uscendosene con la classica frase: “Ho sempre lavorato senza casco e non è mai successo nulla…”

Ma troverebbe anche la reazione alquanto esagerata.

L’alternativa è quella di sfruttare alcuni elementi delle conversazioni strategiche, più o meno in questo modo:

Luca: Ciao Mario, come procede qui?

Mario: Bene Luca grazie.

Luca: Ottimo, sei un gran lavoratore, e ho notato che sei sempre molto attento alla qualità.

Mario: Grazie Luca, faccio del mio meglio…

Luca: Bene! Prima mi è capitato di osservarti mentre lavoravi e mi sono accorto di una cosa..

Mario: Ho fatto qualcosa che non dovevo?

Luca (sorridendo): Tranquillo, so che è una dimenticanza… Ti ricordi quando abbiamo parlato dei rischi durante il corso?

Mario: Sì, dobbiamo rispettare le procedure e indossare sempre le protezioni.. Ah! Porc… ho dimenticato il casco!

Visto?

Utilizzando un approccio empatico, Luca ha prima riconosciuto l’impegno di Mario nel suo lavoro.

Allo stesso tempo l’ha fatto riflettere sull’errore commesso aiutandolo ad arrivare al punto che desiderava condividere…

È chiaro che è solo un esempio ed è difficile mostrare la potenza di una conversazione strategica via testo, ma è questo l’approccio da utilizzare.

Le 8 competenze definite nel metodo Safety Coaching (il nostro Framework) sono pratiche, hanno delle regole chiare e soprattutto possono essere acquisite e integrate nel lavoro quotidiano.

Che si tratti di coinvolgere il Datore di Lavoro, la Dirigenza, i Colleghi o i Reparti Operativi, la capacità di Comunicare efficacemente la Sicurezza è la più grande alleata per il successo.

Vuoi fare il coach o il Safety Coach?

Ciao, parto subito con una domanda a bruciapelo:

Quanto sarebbe bello poter convincere con facilità gli altri a seguire le nostre idee?

Chiunque abbia avuto un minimo di esperienza nelle relazioni professionali, saprà sicuramente quanto sia difficile per le persone, “accettare” ordini o imposizioni, soprattutto se impartiti a forza.

Di norma, imporre la propria visione non è mai la strada vincente, e sai perché?

Perché quando le persone ci dicono cosa fare, tolgono la bellezza dell’apprendimento e soprattutto la possibilità di fare esperienze utili ad arricchire il nostro bagaglio personale.

Ora, in casi come questi, può essere molto efficace utilizzare alcune tecniche di coaching.

Ma cos’è il coaching di preciso? Te lo sei mai chiesto?

D’altronde, al giorno d’oggi, si fa un grande abuso di questa fantomatica parola…

Molti la associano addirittura a una disciplina magica, con GURU tirati a lucido che, tra sceneggiate e balletti di gruppo, convincono le persone a “riprendere in mano la propria vita”… Il tutto, manco a dirlo, a suon di dollari su dollari.

In realtà le cose sono un tantino diverse, e quest’oggi vorrei fare un po’ di ordine.

Socrate, uno dei più grandi filosofi e pensatori dell’Antica Grecia, fu il primo ad affermare che attraverso il dialogo e il confronto, era possibile portare alla luce le verità della nostra anima.

“Da me non hanno imparato mai nulla, ma da loro stessi scoprono e generano molte cose belle”

“Ok Matteo, ma che c’entra tutto questo con il coaching?”

Devi sapere che, uno degli aspetti fondamentali del Coaching, è proprio quello di “partire dall’altro”.

Niente balletti stravaganti o carboni ardenti: agire come un Coach significa incoraggiare le persone a ricercare le soluzioni in completa autonomia, dando fiducia al potenziale insito in ciascuno di noi.

Così facendo, oltre a stimolare una riflessione attiva, si ha la possibilità di trovare dentro di sé, le risposte utili al cambiamento di convinzioni o idee poco funzionali.

Se ci pensi, questo è uno dei punti cardine anche del nostro metodo Safety Coaching…

Tutti i nostri studenti conoscono il tipo di atteggiamento più efficace. Sanno che dovranno mantenere piena fiducia nel potenziale del lavoratore, guidandolo autonomamente a:

  • Cambiare la propria visione (spesso menefreghista) per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro;
  • Riconoscere i rischi del proprio lavoro ed essere in grado di fare scelte di qualità;
  • Comunicare e collaborare per riuscire a mantenere la sicurezza in azienda;
  • Anticipare e prevedere i pericoli e adottare strategie per la prevenzione.

Fatte queste premesse sul meraviglioso mondo del coaching, è bene però fare una precisazione…

Il “Safety Coaching” NON è semplice “Coaching”

Se ti occupi di sicurezza tieni bene a mente che, fare un classico corso di Coaching non ti servirà a molto. E ti spiego perché:

Il Safety Coaching si distingue dal Coaching classico, proprio per la sua natura.

Si tratta infatti di una disciplina umanistica che ha come scopo il miglioramento dei risultati di sicurezza sul lavoro, attraverso competenze di Coaching.

Sono 2 materie simili ma che si differenziano per il semplice fatto che il Safety Coaching, utilizza alcune competenze chiave per orientare e influenzare le persone al rispetto della Sicurezza sul lavoro, con un approccio diverso.

Mentre un coach “classico” non spinge il suo cliente a raggiungere l’obiettivo, ma lo incoraggia con fare distaccato, lasciandolo libero di agire e di scegliere cos’è meglio per lui, se ti occupi di sicurezza questo non è possibile…

Non puoi limitarti solamente a incoraggiare il lavoratore, sperando che faccia la scelta giusta, poiché ogni comportamento rischioso deve essere immediatamente ripreso e corretto.

Un Safety Coach ha l’assoluto interesse nel portare i lavoratori a rispettare determinati comportamenti, per raggiungere l’obiettivo infortuni zero.

Dovrà quindi spronare, motivare, persuadere, comunicare efficacemente con le persone, guidandole verso comportamenti sicuri.

Ecco allora un piccolo allenamento, che puoi utilizzare per iniziare a cambiare mentalità, ti sarà utile per aiutare le persone a prendere decisioni funzionali in autonomia:

Anziché dire agli altri cosa fare, prova a formulare una domanda da porre al tuo interlocutore per portarlo dove vorresti.

Ti faccio un esempio:

Supponiamo che mentre sei in cantiere o in fabbrica, ti accorgi che un operaio non sta seguendo le procedure di sicurezza.

Invece di imporre il rispetto delle norme, fermati un attimo e chiedi a te stesso:

“Quale domanda posso fare alla persona per fargli fare ciò che voglio?”

“Come posso coinvolgerlo attivamente e motivarlo ad allinearsi alle regole?

Questa piccola tecnica, che puoi applicare in qualsiasi contesto della tua attività (anche mentre fai formazione), ti aiuterà a far capire al lavoratore gli errori e a fargli ricercare le soluzioni in completa autonomia.

Rispetto a tutto quello che viene quotidianamente fatto nel mondo della Sicurezza, questa è una prima, semplice strategia, che può già indirizzarti verso una strada più efficace.

Come rimuovere i pregiudizi dei lavoratori

Esiste un mito duro a morire tra gli appassionati di basket: il cosiddetto fenomeno della “mano calda”.

Una fenomeno illusorio per cui, se un giocatore ha segnato diversi punti negli ultimi istanti di gioco, sarà praticamente impossibile che sbagli il tiro successivo.

Si tratta di un classico errore cognitivo, nato dal fatto che la persona sottovaluta l’incognita della casualità in una striscia positiva di successi.

Utilizzando un termine più tecnico, possiamo definirlo come un bias mentale, un costrutto basato su una concezione errata della realtà (un pregiudizio), causa di decisioni precipitose e spesso errate.

La stessa cosa si verifica quando si parla di giochi d’azzardo e scommesse sportive.

Nel lotto ad esempio, le persone continuano a giocare gli stessi numeri perché: “tanto prima o poi usciranno”.

Lo stesso capita con le Slot Machines… “SE quello prima di me ha giocato ma non ha vinto, SICURAMENTE ora la macchina pagherà”

Il giocatore, ha l’errata convinzione che eventi del passato possano influire su quelli futuri e viceversa.

In realtà non esiste nessuna correlazione tra tutto ciò.

Il problema vero è che queste persone restano intrappolate in una sorta di loop mentale, perseverando nelle loro convinzioni (e conseguenti errori)

Vorrei precisare che, ho preso esempi legati al mondo dello sport e delle scommesse, ma ti assicuro che siamo soggetti a bias mentali, anche nella vita di tutti i giorni.

Il mondo del Safety non fa eccezioni…

Quante volte ti sarà capitato mentre parli di sicurezza, di ascoltare dai lavoratori, frasi del tipo:

“Non si è mai verificato un singolo incidente in questa azienda, perché dovrebbe succedere proprio adesso?”

“Sono 20 anni che faccio così e non è mai successo nulla…”

Anche questi sono esempi di errori cognitivi, con l’aggravante che, se nello sport si tratta di sbagliare un canestro e perdere una partita, qui si rischia la vita.

I lavoratori forti di questa consapevolezza e intrappolati nelle loro convinzioni, prendono decisioni stupide che potrebbero costare caro. 

E non ti basterà tutta la motivazione del mondo per fargli cambiare idea, poiché il loro pensiero distorto è arroccato in una fortezza, fatta di sicurezze errate e pregiudizi.

Ora, la domanda da 1 milione di euro che dovresti farti è: 

Come superare queste trappole mentali per aiutare i lavoratori a prendere decisioni più funzionali?

Lo vediamo subito…

Ecco 3 accorgimenti, che ti aiuteranno a scardinare gli errori cognitivi nei lavoratori, evitando così decisioni e comportamenti pericolosi in azienda

Il primo consiglio, spesso dato per scontato ma invece molto importante, è:

 

1.Crea una relazione di fiducia con il lavoratore.

Non potrai mai, e ripeto mai, cambiare una convinzione, se vieni percepito dal lavoratore come il classico rompiscatole della sicurezza, il “So tutto io” di turno.

Se vuoi motivare alla sicurezza, è fondamentale che tu comprenda gli schemi di pensiero di chi hai di fronte, in modo da stimolare riflessioni attive.

Puoi farlo attraverso l’uso di domande mirate.

Potresti ad esempio, porre domande aperte per comprendere le idee: “Perché secondo te fare sicurezza è uno spreco di tempo?”

Oppure potresti porre domande che stimolino la riflessione: 

“C’è un modo migliore secondo te per migliorare la sicurezza nella tua azienda?”

Così facendo aumenterai il coinvolgimento e di conseguenza la fiducia del lavoratore, nei tuoi confronti.

 

  1. Crea consapevolezza.

Per aiutare i lavoratori a superare le trappole mentali, non puoi assumerti il ruolo di mammina premurosa, guidando per mano le persone ad affrontare i rischi e pericoli.

“Mario, guarda che così ti fai male perché la statistica dice che il 92% degli infortuni sul lavoro si verifica…”

NO, non stai facendo sicurezza in questo modo, e non stai aiutando il lavoratore a evitare gli infortuni.

Quello che invece un vero Safety Coach fa, è aiutare il lavoratore a riconoscere in piena autonomia i rischi e i pericoli all’interno dell’azienda.

Solo raccogliendo input di qualità dall’ambiente che lo circonda, potrà capire da solo le misure adeguate da adottare per scongiurare il pericolo di infortuni.

Anche qui, puoi usare domande specifiche che aiutano il lavoratore a raggiungere in autonomia, la piena consapevolezza dei rischi e dei pericoli:

“Qual è secondo te il rischio e il grado di difficoltà, nell’esecuzione di questa lavorazione?”

“Quali dispositivi di protezione ritieni che sia opportuno utilizzare?” 

 

  1. Utilizza un linguaggio efficace.

L’ultimo accorgimento riguarda la comunicazione.

Una volta creata una relazione di fiducia, è importante non buttarla al vento.

Se ricordi, in qualche newsletter fa, abbiamo visto l’importanza di adoperare un linguaggio positivo che ispiri l’azione, generi autorevolezza e influenzi il cambiamento.

Allo stesso modo, è importante evitare espressioni negative come no e non, che manifestano un senso di rifiuto e chiusura verso il tuo interlocutore.

Un’altra parola da evitare, è la congiunzione avversativa: però.

“Sono d’accordo con te Mario, però…”

Questo vocabolo indispone il tuo interlocutore, chiudendo il dialogo.

Molto meglio usare congiunzioni che possano facilitare un senso di comprensione e allineamento con la persona che hai di fronte.

“Sono d’accordo con te Mario, è anche vero che…”

Noti come cambia il significato?

Hai manifestato comprensione e rispetto per le idee di Mario, ma allo stesso tempo puoi virare elegantemente per esporre il tuo punto di vista.

Bene, anche per oggi siamo giunti alla fine.

Segui questi 3 consigli, e vedrai che la strada per cambiare abitudini e convinzioni errate nei lavoratori, sarà più in discesa.

L’equazione 7-38-55 è una Ca#@ta pazzesca!

Ciò che pensava il mitico ragionier Ugo Fantozzi per la Corazzata Potemkin, lo penso io per l’inflazionata teoria di Albert Mehrabian, se parliamo di Sicurezza sul lavoro.

Se bazzichi nel mondo della comunicazione efficace o del public speaking, avrai sicuramente sentito decantare da tantissimi “guru” o “esperti” la famosa equazione: 7-38-55.

Queste cifre, si riferiscono a uno studio condotto proprio dal famoso professore universitario di psicologia, che analizzava l’influenza dei diversi tipi di linguaggio sulla nostra comunicazione.

Il 7% riguarda l’impatto del linguaggio verbale, le parole per intenderci;
Il 38% il paraverbale ovvero: tono di voce, volume, pause;
Il 55% il non verbale: gesti, postura, movimenti del corpo.

Ora, se ricordi, avevamo già affrontato questo tema, in una delle vecchie newsletter e, sia chiaro, non voglio rinnegare quanto detto in passato.

C’è un però…

L’errore che ho più volte constatato è che molti formatori, basandosi su questa statistica, tendono a dare meno importanza all’aspetto verbale, dimenticando un concetto molto importante:

Non è certo focalizzando studio e pratica esclusivamente su linguaggio paraverbale e non verbale, che diventerai un comunicatore perfetto.

Come lo stesso Mehrabian ha più volte affermato, questa equazione si limita a una ristretta gamma di tipologie di comunicazione, legata più che altro alla sfera sentimentale, alle emozioni e a ciò che ci piace.

Ti faccio un esempio:

Supponiamo che dopo aver fatto infuriare la tua donna, ti azzardi a chiederle: “Sei ancora arrabbiata con me?”

E lei, voltandosi dall’altra parte, con un volume di voce alto ti dice «NO!», nel farlo la sua espressione facciale, è chiaramente imbronciata.

Ora in questo caso, il suo “NO” (linguaggio verbale) passerebbe nettamente in secondo piano, rispetto agli altri segnali utilizzati: tono alto (paraverbale) ed espressione facciale imbronciata (non verbale).

Come vedi, qui l’equazione 7-38-55 di Mehrabian calza a pennello.

Applicata però alla tua attività quotidiana, mentre comunichi con lavoratori che non fanno parte della tua sfera personale, questa regola non ha alcuna valenza. È un tipo di comunicazione diversa.

Il potere del linguaggio verbale nella sicurezza

Una delle skill fondamentali che insegno nel Safety Coaching, e che dovresti padroneggiare al meglio per diffondere la cultura della sicurezza, è la cosiddetta intelligenza linguistica.

In pratica è la capacità di utilizzare linguaggio e parole più appropriati, adattandoli alle diverse situazioni.

Cosa significa?

Come sai, esistono molte parole nel nostro vocabolario. Il punto è che in base alle circostanze, alcune saranno funzionali al messaggio che vuoi trasmettere, altre saranno disfunzionali: ti remano contro.

Nel contesto della Sicurezza sul lavoro alcuni termini ti aiuteranno a:

  • Alzare la tua autorevolezza;
  • Aumentare l’empatia con chi ti ascolta;
  • Trasformare una comunicazione da piatta e noiosa, a piacevole e coinvolgente.

Ecco alcune delle parole che ti consiglio di utilizzare più spesso quando comunichi coi lavoratori:

. È una parola dal grande potere ipnotico che, se utilizzata nel modo corretto, farà percepire a chi ti ascolta, la tua volontà a cooperare e a dialogare, anche quando non sei d’accordo.

Ti faccio un esempio pratico:

Mario, un lavoratore, ti obietta:

“Ci sono alcune situazioni però, in cui non è semplice rispettare tutte le procedure di sicurezza…”

La tua risposta sarà :
“Sì Mario, capisco benissimo il tuo punto di vista, il punto è…”

Capisci?

Hai inizialmente espresso un chiaro consenso all’obiezione di Mario, per poi indirizzare la risposta verso il tuo punto di vista, senza alcuna “forzatura”.

Altra parola:

Facile. Uno dei maggiori problemi di chi fa sicurezza è proprio la complessità di questa nobile disciplina, motivo per cui i lavoratori tendono ad annoiarsi e a mettersi sulla difensiva.

Prova invece ad utilizzare la parola “Facile” più spesso quando comunichi. Il nostro cervello, da buon pigrone, ama alla follia tutto ciò che è semplice.

Esempio:

“Ho semplificato questa procedura da utilizzare in caso di emergenza, vedrete quanto sarà facile eseguirla.”

Chiaro il concetto?

Bene.

Al contrario, come detto sopra, ci sono parole che invece possono ostacolarti.

Espressioni negative come “NO” e “NON“, richiamano sensazioni di rifiuto e chiusura e, se vuoi motivare alla sicurezza, sono assolutamente da evitare.

Riprendiamo l’esempio del buon Mario e vediamo come cambierebbe la tua comunicazione:

“Ci sono alcune situazioni però, in cui non è semplice rispettare tutte le procedure di sicurezza…”

La tua risposta:

“No Mario, non ha senso ciò che dici, perché…”

Vedi?
In questo caso, invece di manifestare cooperazione ed empatia nei confronti del povero Mario, hai espresso una totale chiusura rispetto alle sue sue idee. Pensi che sarà motivato a seguire le tue indicazioni?

Domanda ovviamente retorica…

Questo aspetto è fondamentale se vuoi creare cultura della Sicurezza.

Puoi avere la massima padronanza del tuo linguaggio paraverbale e non verbale ma l’utilizzo sbagliato del livello verbale, le parole, può essere fatale per il raggiungimento dello scopo.

L’obiettivo di questo articolo è proprio questo.

Farti evitare l’errore che molti commettono, ovvero affidarsi ciecamente all’equazione di Mehrabian credendo allora che le parole scelte non siano importanti. Niente affatto!

Ricorda: le parole che scegli di utilizzare quando comunichi possono essere il tuo più grande alleato.

Certo sì, adottare i giusti movimenti del corpo, usare le pause, porre enfasi quando facciamo formazione: tutto corretto. Il punto è che per comunicare con i lavoratori, e coinvolgere davvero alla sicurezza, è fondamentale padroneggiare anche il livello verbale, utilizzando correttamente le parole efficaci.

Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere.
(Emily Dickinson)

L’Effetto Farfalla nella Sicurezza sul lavoro?

Uno dei film preferiti della mia infanzia, è sicuramente Jurassic Park.

Te lo ricordi?

L’isola immaginaria popolata da giganteschi dinosauri, creati artificialmente in laboratorio.

Mi ricordo ancora adesso la prima volta che ho visto al cinema queste imponenti e mostruose creature…

Credo di non aver dormito per qualche notte, con il terrore che all’improvviso comparisse una di queste spaventose figure in camera mia o venissero da sotto il letto.

C’è una scena del film che contiene una delle citazioni più usate in moltissime pellicole di fantascienza, il cosiddetto effetto farfalla.

“Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”

Nei film sui viaggi nel tempo, viene spesso usata per ricordare che una piccola modifica al passato, può provocare effetti catastrofici nel futuro.

Ma in generale, il significato di questa frase sta nel fatto che le piccole azioni di tutti i giorni, possono generare grandi cambiamenti, nella nostra vita quotidiana e in tantissimi altri ambiti.

Come ad esempio nella sicurezza sul lavoro…

Quante volte hai a che fare con lavoratori che sottovalutano i rischi legati alla sicurezza?

“I DPI mi danno fastidio, non riesco a lavorare bene”
“Non ho mai usato protezioni e non è mai successo nulla”

Abitudini e convinzioni standard.

Se sei un consulente o responsabile del Safety, che ogni giorno combatte per far capire l’importanza ai lavoratori delle norme di sicurezza, sicuramente sai di che parlo.

Eppure basterebbero piccole azioni che, se compiute, potrebbero evitare disastri nonché salvare la vita. Un Enorme cambiamento… un vero e proprio “Effetto Farfalla”.

Occuparsi di sicurezza sul lavoro, rappresenta una vera e propria sfida.

Ma come fare per vincerla?

Il primo step è riconoscere l’importanza di una comunicazione partecipativa piuttosto che direttiva.

Cosa significa?

In generale le persone non amano ricevere ordini e sentirsi dire cosa fare. E cosa più importante, non sopportano tutte quelle imposizioni che non prevedano la possibilità di controbattere ed esprimere la propria opinione.

Non tanto per contraddire a priori, ma per essere considerati e sentirsi parte di un gruppo.

Ecco perché è fondamentale orientare la propria comunicazione usando l’intelligenza emotiva.

Cosa significa?

Secondo Daniel Goleman, autore dell’omonimo libro, l’intelligenza emotiva riguarda la capacità di indirizzarsi in modo efficace, verso se stessi e gli altri.

Cercando di comprendere e di gestire le proprie emozioni, al fine di orientarle verso un obiettivo ben preciso.

In particolare, quando si parla di sicurezza, l’ideale è partire dalla tua identità percepita dai lavoratori.

Mi spiego:

Se vieni percepito come il “rompiscatole della sicurezza” che detta legge e basta, difficilmente potrai coinvolgere i lavoratori.

Al contrario, se ti mostri come un partner sempre al servizio degli altri, genererai un clima di fiducia e i lavoratori magicamente ti ascolteranno.

Ecco 3 pilastri per coinvolgere i lavoratori

Esistono 3 leve che puoi usare fin da subito per coinvolgere tutti i lavoratori al Safety.

Il primo pilastro, è quello di invitare gli altri alla riflessione e alla ricerca attiva del rischio.

Tu sei il consulente esperto, ne sai più di tutti per quanto riguarda la Sicurezza, giusto?

Bene, l’errore che molti fanno, è quello di limitarsi a comunicare norme e procedure, senza conoscere cosa ne sanno i lavoratori.

L’approccio vincente invece, consiste nel partire da ciò che riconoscono gli altri, stimolando la loro ricerca autonoma, con una serie di domande mirate.

Esempio: “Secondo voi, quale protezione sarebbe opportuno utilizzare in questo reparto? Perché?”

“Come agiresti se succedesse…”

In questo modo, stimoli la loro ricerca e li renderai più consapevoli.

Il secondo pilastro riguarda il giudizio.

Quando giudichi le persone solo dai loro risultati, ti auto-ostacoli nel valutare il loro vero potenziale.

Se invece dai fiducia e cerchi di stimolare i lavoratori con le giuste leve, è molto probabile che la sua attenzione migliori con il tempo.

Concentrati sempre sui risultati ottenibili in futuro, non su quelli ottenuti.

Bene, arriviamo ora all’ultimo punto, quello di offrire rinforzi positivi.

Che cosa intendo?

Non puoi comunicare solo gli errori o ciò che non va.

Anche se insufficienti, è importante ricompensare i piccoli sforzi.

Ad esempio, un semplice: “Bravo Mario, ho notato che usi sempre il casco protettivo…”, fa un’enorme differenza.

Un professionista della sicurezza, deve sempre riconoscere le singole azioni positive, i piccoli miglioramenti, elogiando per l’impegno dimostrato.

Ogni singola azione, può generare in futuro un grande cambiamento…effetto farfalla” garantito!

Persuasione e Sicurezza sul Lavoro? Suggerimenti da Aristotele

“Non c’è nulla di più nobile che riuscire a catturare l’attenzione delle persone con la parola, indirizzare le loro opinioni, distoglierle da ciò che riteniamo sbagliato e condurle verso ciò che apprezziamo.”

 

Marco Tullio Cicerone
Questa che hai appena letto, è una delle citazioni più belle presenti nell’Arte di comunicare di Cicerone, il noto oratore dell’antica Roma e, come potrai immaginare, ha più di 2.000 anni…


Fin dall’antichità, dalle pitture rupestri del Paleolitico alle prime tavolette d’argilla dei Sumeri, l’uomo ha sempre cercato un modo efficace per comunicare.

Ciò che infatti ci contraddistingue rispetto agli animali, è proprio il fatto che dialoghiamo tra noi, esprimendo le nostre emozioni con le parole.

L’abilità comunicativa è sempre stata un requisito fondamentale, ma mai come ora, dove la soglia d’attenzione è sempre più bassa, è importante riuscire a farsi ascoltare.

Il punto è, che siamo nell’era dell’informazione digitale, dove tra chat, emoji e messaggini di ogni genere, stiamo perdendo sempre di più la capacità di esprimerci in modo chiaro ed efficace.

Qualcuno direbbe che stiamo ritornando a un’era barbarica…

Nel campo della formazione, le cose non sono poi tanto diverse.

Troppo spesso infatti chi ascolta, è vittima di una comunicazione piatta e poco coinvolgente, col risultato che alla fine del “corso” le informazioni ricevute non rimangono sufficientemente IMPRESSE.

È come quando tu, professionista della sicurezza, devi fare i conti con lavoratori ostinati, a cui le norme di sicurezza non interessano minimamente e nessuno sembra ascoltarti…

Il punto è questo:

Se il cervello non viene stimolato nel modo giusto, non si vengono a creare associazioni funzionali tra l’argomento trattato e le emozioni personali generate.

Come puoi riuscire quindi a comunicare in modo più persuasivo?

Mi spiace deludere i fan accaniti dei para-guru della formazione, ma quando si tratta di comunicazione efficace non esistono formule magiche o trucchetti da palcoscenico.

Tuttavia, oggi voglio condividere con te alcuni dei miei appunti personali di retorica, appresi da uno dei più grandi oratori del passato: Aristotele.

Sia che tu debba tenere un discorso in pubblico o che ti stia confrontando con i lavoratori di un’azienda, l’arte retorica è utilissima per aumentare la soglia d’attenzione nei tuoi confronti.

Detta le regole e stabilisci i tempi

Secondo Aristotele, prima di iniziare un dialogo, bisogna anzitutto stabilire i 2 obiettivi più importanti.

Il primo obiettivo è quello di riuscire a comunicare il tuo messaggio in modo chiaro e diretto;

Una delle mancanze maggiori di qualunque riunione, corso o conversazione sulla sicurezza, è proprio la chiarezza del messaggio.

Per aiutarti su questo primo punto domandati sempre:

Cosa voglio comunicare a questa persona?
Quale scopo ha la mia comunicazione?
Che obiettivi voglio raggiungere attraverso questo corso?
Cosa voglio ottenere da questa conversazione?

Chiarire a noi stessi il messaggio che intendiamo trasmettere è il primo passo per essere efficaci.

Il secondo obiettivo è quello di capire il tuo uditorio ovvero la persona (o le persone) che hai di fronte.

Per farlo chiediti sempre:

A chi mi sto rivolgendo?
Qual è il suo umore?
Quali convinzioni ha sull’argomento che devo trattare?
Che esperienza hanno su questa materia?
Come potrebbe reagire l’altro rispetto all’oggetto del dialogo?

Il passo successivo, è scegliere l’argomento.

“Matteo, di quale argomento dovrei parlare se non di sicurezza sul lavoro?”

Aspetta, c’è di più.

Per Aristotele in ogni argomento dobbiamo prestare attenzione a 3 elementi:

  1. La colpa

Quando nel nostro dialogo inseriamo il giudizio o colpevolizziamo l’altro, cadiamo vittime della nostra stessa comunicazione.
Un Safety Coach non lavora mai sui colpevoli, ma sulle strategie di miglioramento.

  1. I Valori

Cosa conta di più per il nostro interlocutore? Quali emozioni lo fanno entusiasmare? Cosa desidera maggiormente?
I valori funzionano come propulsori dei nostri comportamenti e rispondono alla domanda: cos’è davvero importante per te nella vita?

  1. La scelta

Nella retorica deliberativa, si utilizzano i tempi al futuro per ispirare cambiamento e presa di responsabilità.

Nel metodo Safety Coaching le scelte hanno senso solo quando nascono dalla partnership.

Che cosa intendo?

Stabilire una scelta senza giudizio
Giudicare o condannare un lavoratore durante un confronto, è il modo peggiore per motivarlo a seguirti.

In qualità di responsabile o consulente della sicurezza, devi destreggiarti tra l’imposizione e l’assenza di giudizio.

Le persone non amano sentirsi dire cosa fare, ma d’altronde la Sicurezza è pur sempre un obbligo.

Il punto fondamentale è capire che tutto si gioca nel campo delle emozioni: se un lavoratore si sentirà giudicato, finirà per innescare rabbia e conflitto verso il tuo operato.

Facciamo un esempio:

Immagina di beccare di nuovo “Mario Rossi” senza gli occhiali di protezione e di avvicinarti a lui con fare rabbioso, dicendogli:
“Quante volte ti devo dire che durante questa attività devi usare gli occhiali di protezione?”

Questo tipo di messaggio con questo tono, a quali conclusione può portare secondo te?

Mario certamente lo percepirà come un rimprovero e si metterà sulla difensiva, cercando di salvare le sue convinzioni:

“Sono anni che faccio questo lavoro…”
“Questo vuole insegnare a me…”
“Gli occhiali sono scomodi…”

Ora, il trucco della retorica deliberativa, sta proprio nel volgere la comunicazione al tempo futuro, promettendo un vantaggio, un consiglio o una scelta.

Se ad esempio, nella stessa situazione, ti avvicinassi a Mario con un atteggiamento più cordiale dicendo:
“Bravo Mario, vedo che stai indossando le scarpe antinfortunistiche. Ho notato anche che c’è una cosa che ti è sfuggita..

“È vero, ho dimenticato gli occhiali, ma sai sono scomodi.” Ti dirà Mario.

Ora, usando la retorica deliberativa, la frase potrebbe ad esempio essere:
“Capisco, a volte possono essere fastidiosi, d’altronde ne va della salute dei tuoi occhi, ricordi? Come possiamo fare in futuro per far si che tu li indossi?”

Volgendo la frase al futuro, e lavorando insieme a lui sulle possibili scelte, aumenteremo il rapporto di fiducia con il nostro interlocutore, che sarà più propenso ad “eseguire”, senza sentirsi obbligato.

Il vero Safety Coach, accoglie pensieri, opinioni o difficoltà che l’altra persona vuole esprimere, e le guida per trovare una soluzione insieme.

Ricorda: fare (davvero) Sicurezza, vuol dire imparare a Conversare Strategicamente con i propri interlocutori.

Logos, Ethos e Patos

Ora, facciamo un passo indietro e ritorniamo nella Grecia del V secolo a.C.

A quel tempo, i cosiddetti maestri di virtù, ovvero i sofisti, viaggiavano di città in città alloggiando nelle migliori case, guadagnandosi da vivere insegnando ai giovani nobili, la retorica e la dialettica.

Amavano discutere, elaborando con le persone presenti argomenti persuasivi in grado di influenzare le loro opinioni.

Possiamo definirli come una sorta di primi influencer.

Nonostante fossero molto popolari, non erano ben visti però da alcuni filosofi contemporanei, tra cui Platone e Aristotele, per il semplice motivo che si facevano pagare per i loro servizi.

Quest’ultimo inoltre, non era neanche del tutto certo dell’efficacia comunicativa.

Era infatti convinto che alle loro argomentazioni, benché poetiche ed emozionali, mancasse qualcosa.

È anche per questo che Aristotele inventò le sue regole di persuasione.

Principi che ancora oggi vengono usati da politici, venditori e tutti i più grandi comunicatori: il cosiddetto triangolo retorico.

Si tratta di una vera e propria strategia comunicativa, costituita da 3 elementi, che rappresentano la base di ogni messaggio efficace:

  1. Logos, l’argomentazione fondata sulla logica che rappresenta il cuore dell’argomentazione;
  2. Pathos, l’argomentazione basata sulle emozioni;
  3. Ethos, l’argomentazione fondata sul carattere e l’immagine di una persona, ovvero la personalità di chi deve persuadere.

Ora, non voglio spararti un pippone accademico su questi 3 elementi (anche se mi piacerebbe), voglio però soffermarmi su almeno 2 di essi, in modo che poi tu possa utilizzarli, quando parli di sicurezza sul lavoro.

Mettiamoci in marcia: La potenza delle emozioni

L’obiettivo principale di ogni consulente della sicurezza, è portare le persone a rispettare le norme.

Giusto?

Per farlo, devi in qualche modo motivare la persona che ti ascolta, scavalcando la sua parte più razionale.

In altre parole, devi manipolare le sue emozioni.

Una comunicazione basata sull’emozione, rappresenta infatti il lato seduttivo della persuasione.

Ciò che in qualche modo aggira la parte razionale del cervello e porta le persone ad agire.

A tal proposito, c’è un aneddoto molto bello che ne descrive appieno la potenza.

Si dice che, quando l’oratore romano Cicerone terminava i suoi discorsi, la gente applaudiva e si complimentava con lui.

Tuttavia, quando era l’ardente oratore ateniese Demostene a terminare i suoi discorsi, molto più ricchi di Pathos rispetto a quelli del collega Cicerone, succedeva un’altra cosa:

La gente si alzava e gridava: “mettiamoci in marcia!”.

È chiaro il concetto?

Emozioni ed empatia

Una delle principali componenti del Pathos è l’empatia: in grado di provocare un vero e proprio cambio d’umore nelle persone e a spingerle ad agire.

Ma quando si verifica questo fenomeno naturale?

Ca va sans dire: quando tutti sono catturati e coinvolti mentre stai parlando.

Come consulente ti sarà capitato più volte di parlare a lavoratori avvolti da una fitta coltre di menefreghismo e indifferenza, e di quanto sia frustrante. Ce lo siamo raccontati più volte.

Un metodo che uso personalmente quando mi trovo in questa imbarazzante situazione, è quello di facilitare l’esplorazione dei temi in oggetto, attraverso una riflessione guidata.

Mi spiego meglio.

Mentre parlo, utilizzo domande mirate, utili a provocare delle riflessioni interiori nella mente di chi mi ascolta, in modo da portare i lavoratori a interagire e riattivare la loro attenzione.

Domande come:

“Qual è secondo voi la differenza tra rischio e pericolo?”

“Quali sono secondo voi le strategie migliori da adottare per prevenire incidenti?”

Così facendo ottieni immediatamente 3 vantaggi:

  • Mantieni viva l’attenzione di chi ti ascolta, coinvolgendolo in prima persona con nuovi spunti di riflessioni o idee;
  • Ti aiuta a far memorizzare i concetti esposti;
  • Ti aiuta a creare con maggior facilità un rapporto di empatia con le persone che ascoltano.

Ok, questo per quanto riguarda comunicare con “Pathos”.

Usare l’Ethos e il potere del ricalco

Abbiamo detto che l’elemento “Ethos” è strettamente legato alla personalità di chi comunica.

Secondo Aristotele, per persuadere qualcuno devi adattare il tuo stile comunicativo a quello di chi ti trovi di fronte. È il modo più veloce ed efficace per entrarci in sintonia.

È un concetto molto simile a quello del ricalco: quel fenomeno naturale per cui tendiamo a dare maggior fiducia a ciò che sentiamo più simile a noi.

Nel tuo lavoro come professionista della sicurezza ad esempio, lo potresti utilizzare nei seguenti casi:

  • Adattando il tuo abbigliamento (più o meno formale) in base a chi hai di fronte (il famoso decoro aristotelico);
  • Adattando il tuo linguaggio (più o meno tecnico) in base all’esperienza di chi hai di fronte;
  • Utilizzando storie o esempi vicini alle esperienze di chi ti ascolta.
  • e così via…
Si tratta quindi di andare oltre le tue competenze tecniche…

Se vuoi essere ascoltato, devi adattare il tuo stile e approccio all’argomento, in base a chi hai di fronte.

Metti in pratica questi semplici consigli e vedrai che ne trarrai immediatamente beneficio ;).

Prima di salutarti, chiudo con una massima (ormai avrai capito che le adoro).

“L’argomentazione fornita dalla vita di un uomo ha più peso di quella fornita dalle parole.”

 

Isocrate