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Una Pizza per motivare alla sicurezza?

Quali sono le leve più potenti per motivare le persone e spingerle ad agire?

Questa è una delle domande a cui Dan Ariely, professore di psicologia ed economia comportamentale, risponde nel suo libro “Perché: La logica nascosta delle nostre motivazioni”.

Sappiamo tutti quanto sia difficile motivare le persone a compiere determinate azioni.

In qualità di consulente o responsabile della sicurezza ad esempio, sai meglio di me quanto sia complesso motivare i lavoratori ad attuare quei comportamenti virtuosi che tanto desideri.

Ariely nel suo libro, va a fondo su questo aspetto, definendo la motivazione come una sorta di equazione.

Un insieme di fattori che aiutano nella costruzione della motivazione, tra cui: denaro, risultato, senso di appartenenza, felicità, riconoscimento.

Secondo Ariely, la maggior parte dei grandi capi d’azienda sottovalutano questi fattori e di conseguenza non stimolano abbastanza i propri dipendenti a fare di più anzi, talvolta fanno seri danni.

Sono convinti infatti che un piccolo bonus una tantum in busta paga sia efficace per mantenere sempre alta la motivazione. 

Ma è davvero così?

No. Le cose sono un tantino diverse e l’autore ne fornisce una chiara visione all’interno del libro, dove descrive un esperimento tenuto in Intel.

I dipendenti di questa fabbrica in Israele lavoravano a cicli lavorativi di 8 giorni: 4 giorni con turni da 12 ore e 4 giorni di riposo.

I responsabili della fabbrica avevano impostato dei bonus per mantenere alta la produzione al rientro dai 4 giorni di riposo.

Funzionava così: 

se il primo giorno del ciclo lavorativo i lavoratori raggiungevano l’obiettivo prefissato, avrebbero ricevuto un bonus in denaro alla fine del turno.

Ariely propose un test, con altre tre varianti del bonus:

  • recapitare una pizza formato famiglia direttamente a casa loro (purtroppo a causa di problemi logistici non fu possibile, perciò optarono per un coupon).
  •  inviare un elogio sottoforma di sms direttamente dal capo
  •  non fare nulla

L’idea era di segmentare in parti uguali il personale e per ogni segmento attivare una delle quattro modalità. E così fecero…

Secondo te, quale tra questi risultò come l’incentivo vincente?

Te lo svelo subito, partendo dal presupposto che qualsiasi incentivo è meglio di nessun incentivo.

Le persone che avevano ricevuto uno dei 3 bonus, aumentarono infatti la propria performance rispetto a chi non ricevette nulla.

E fin qui tutto abbastanza logico.

Il risultato sorprendente fu che, dei 3 veri incentivi, il denaro si è dimostrato il peggiore.

il dato fu che: 

  • la produttività di chi ricevette il coupon per una pizza aumentò del 6,7%; 
  • chi aveva ricevuto un elogio 6,6%; 
  • chi il premio in denaro 4,9%.

L’esperimento continuò nei giorni successivi ma il trend non mutò anzi: il premio in denaro evidenziava una resa peggiore, rispetto a chi non aveva ricevuto nulla…

Abbastanza controintuitiva come dinamica vero?

In realtà la spiegazione è piuttosto Semplice. 

Nella mente del lavoratore scattava infatti questo ragionamento: 

“Visto che ieri mi hai pagato di più per fare il mio lavoro, oggi che non riceverò nulla lavorerò meno”.

Ma cosa voleva dimostrare Ariely con questo esperimento?

Te lo faccio dire da lui:

“Più un’azienda può offrire ai dipendenti opportunità che creano significato e legame, maggiori sono le pro­babilità che quei dipendenti si impegnino di più e che la loro fedeltà sia più duratura” 

 Dan Ariely

L’esperimento dimostra che le persone sono più motivate da apprezzamenti e cortesie di natura sociale anziché economiche.

Questo perché, come esseri umani, siamo molto legati al bisogno di sentirci inclusi in una comunità e di condividere le nostre emozioni con gli altri.

La pizza e l’elogio sono stati i 2 incentivi vincenti perché oltre ad aumentare la propria autostima personale, hanno rafforzato il senso di appartenenza all’azienda.

Quel senso di soddisfazione per un papà e marito, che torna a casa in famiglia con una pizza come premio…

L’attimo di emozione nel ricevere un elogio dal proprio capo… 

Sono leve molto più potenti del denaro.

“Ok Matteo, ma io come posso sfruttare tutto questo per motivare i lavoratori ad attuare comportamenti più sicuri?”

Rinforzando i comportamenti positivi.

Una delle cose che non mi stancherò mai di ripetere, è l’importanza del rinforzo.

Anche il più piccolo sforzo compiuto dal lavoratore per lavorare in sicurezza, va premiato.

L’errore che molti consulenti o responsabili della sicurezza fanno, è quello di sottovalutare questi piccoli passi (ritenendoli insignificanti), con la conseguenza di demotivare il lavoratore nel suo processo di miglioramento.

Una semplice pacca sulla spalla o un “Bravo Mario che utilizzi gli occhiali protettivi” ad alta voce, possono sembrare banalità ma non è così.

Oltre ad aumentare il senso di soddisfazione del lavoratore, può rappresentare una spinta potente per continuare ad attuare comportamenti virtuosi.

Provare per credere.

Il 5G causa anche incidenti sul lavoro?

C’è un nuovo nemico in città, responsabile della maggior parte delle sciagure capitate ultimamente, Coronavirus compreso.

Sto parlando del “famigerato” 5G, ultimamente sempre al centro dell’attenzione per via delle numerose bufale dei classici complottisti.

Nelle ultime settimane ne ho lette di tutti colori:

da chi distrugge qualsiasi antenna che vede in giro, a improbabili studi dove è “appurato” che causi il Coronavirus, a vari gruppi di denuncia sui social.

Insomma come sempre, la situazione è sfuggita leggermente di mano.

Manca solo che salti fuori che il 5G causi incidenti sul lavoro e poi siamo apposto… :).

Scherzi a parte, il problema grave è che, grazie a questo terrorismo mediatico, sempre più persone iniziano a crederci e a parlare di rischi per la salute, dimenticando un semplice dato di fatto…

L’esposizione elevata alle onde elettromagnetiche al centro della diatriba, NON è provocata dalle antenne, bensì dall’utilizzo eccessivo dello smartphone.

Significa che il pericolo effettivamente esiste ma non è dovuto alla tecnologia in sé, ma all’utilizzo sbagliato che se ne fa.

Pensa che secondo alcune ricerche è emerso che il 44% degli adolescenti, passa anche 6 ore al giorno con lo smartphone in mano.

E sugli adulti (alcuni almeno) probabilmente non cambia molto.

Sarebbe utile sensibilizzare la gente su questo aspetto ma verrebbe fuori un altro problema:

Per le persone cambiare abitudini è TREMENDAMENTE difficile. È molto più semplice trovare “capri espiatori”, anche se non hanno alcun senso logico.

La dinamica mentale è più o meno questa:

“che male potrebbe mai fare chattare o stare sui social? La colpa è sicuramente di quegli antennoni del 5G, ma io non posso farci nulla”.

Ed è qui che volevo arrivare.

Hai presente quando si verificano incidenti sul lavoro?

La dinamica è la stessa.

Solitamente la colpa viene sempre data a fattori come: la poca formazione, la burocrazia, la sfortuna… mai alle (cattive) abitudini dei lavoratori o dell’azienda stessa.

“non è mai successo nulla…” 
“Abbiamo sempre lavorato così…” 
“I caschetti sono troppo stretti…”.

Chiunque si occupi di Safety sa che deve scontrarsi con lavoratori a cui non importa nulla e che troveranno ogni scusa possibile, pur di NON cambiare le proprie credenze o abitudini.

Per questo TU in qualità di leader della Sicurezza, devi avere la capacità di guidare e influenzare positivamente l’ambiente, ispirando le persone al cambiamento di responsabilità.

Certo non è facile.

Per indicare una nuova via, un modo diverso di fare sicurezza, hai bisogno prima di mostrare quello che sai, facendo entrare le persone nel tuo “mondo”.

Devi creare una connessione con le persone, esplorando la loro mappa mentale.

Come fare?

USA IL POTERE DELLE DOMANDE

  • Fai Domande aperte per capire le loro convinzioni: “Perché ritieni uno spreco di tempo fare sicurezza?”
  • Fai Domande focalizzate sulle soluzioni “Come possiamo secondo te migliorare la Sicurezza in questo reparto?”
  • Fai Domande che invitano all’azioneCome vuoi procedere per questa attività?”

Solo così riuscirai ad abbattere abitudini e convinzioni malsane, e portare i lavoratori verso comportamenti più funzionali.

Altrimenti ti troverai a dover imporre le tue idee, affrontando classiche (e poco efficaci) discussioni, nella più totale indifferenza

Un BECCHINO per motivare alla Sicurezza?

Può una situazione negativa, come ad esempio un lutto, trasformarsi in un fenomeno virale?

Nelle ultime settimane sta spopolando il meme della coffin dance, un video dove dei bizzarri becchini ballano con movenze alquanto insolite, durante il trasporto di una bara.

Questo meme ha raggiunto l’apice della viralità anche grazie alla pattern musicale di sottofondo, un inconfondibile e orecchiabile ritornello.

Ovviamente il meme in questione ha scatenato anche qualche polemica.

Molte persone infatti hanno criticato questo video, etichettando questo rito, come poco rispettoso nei confronti del defunto.

In realtà, si tratta di un rito funebre ghanese, ideato con il duplice scopo di portare rispetto all’anima del defunto, e allietare un momento triste e di sofferenza, con una sorta di festa collettiva.

Ma c’è di più…

Il suo ideatore, Benjamin Aidoo, ha riferito in un’intervista, che tutto è nato come alternativa al classico funerale, per spostare il focus dalla scomparsa del defunto, celebrandone invece ciò che ha fatto in vita.

Un gesto nobile se ci pensi, che ha avuto un grande successo (ancora prima che diventasse un meme sul web), portando le stesse famiglie africane a pagare cifre considerevoli per questa cerimonia.

Siamo abituati a pensare a un funerale come un rito solenne, fatto di preghiera, lacrime e silenzi.

Qui troviamo invece, persone che ballano a ritmo di musica e con movenze divertentissime, mentre trasportano la bara, trasformando un momento triste in qualcosa di divertente.

Un gesto talmente controverso che ha avuto un grandissimo impatto, in positivo.

Ora starai pensando qualcosa del tipo: «ok ma cosa c’entra tutto ciò con la sicurezza sul lavoro?»

Te lo spiego subito… ormai dovresti conoscermi e sai che mi piace riflettere anche su temi inconsueti 😉

Non aver paura di rompere gli schemi

Sai bene che, quando si parla di sicurezza in azienda, spesso lo fai davanti a facce svogliate e lavoratori disinteressati.

Ti sei mai chiesto cosa accadrebbe se proponessi il tema della sicurezza sotto una nuova veste?

Anziché utilizzare i soliti schemi, con noiose riunioni e la stesse linee comunicative, fatte di boriosi termini tecnici e obblighi, perché non farlo in maniera completamente nuova?

Stupire le persone che ti ascoltano rendendo un argomento considerato poco interessante più coinvolgente… proprio come i simpatici becchini.

Ecco 3 insegnamenti che possiamo portare a casa da questa storia del web. Li puoi sfruttare a tuo vantaggio per motivare alla sicurezza sul lavoro, rompendo gli schemi.

1- La forma non è il contenuto

In qualità di professionista della Sicurezza, probabilmente i tuoi contenuti sono già eccellenti.

Conosci tutte le norme del Safety e sai indicare a un responsabile il modo migliore per prevenire infortuni sul lavoro.

Tuttavia le persone non ti seguono.

Perché?

Ciò che manca è la forma, ovvero la capacità di comunicare nel migliore dei modi il tuo sapere tecnico, scegliendo le giuste parole per convincere le persone.

Ti faccio un esempio: Supponiamo che tu sia un amante del buon vino. La qualità di un vino, è data dal tipo di uva, dal terreno, dal processo di vinificazione, dalla posizione geografica e da altri fattori. Tutte caratteristiche che conferiscono al prodotto un gusto unico.

Ora, immagina di presentare un ottimo Brunello, in un cartone di tetrapack anziché in una bottiglia di vetro..

Per quanto buono sia, avrai creato un pregiudizio visivo che, anche una volta assaggiato, farà percepire il vino di bassa qualità.

In pratica, la “sostanza” c’è ma è la “forma” che è totalmente sbagliata

E’ chiaro il concetto?

Nel Safety, la “forma” rappresenta la comunicazione efficace e diretta.

Anziché partire con la classica “lezione a pappagallo”, dovresti impostare una comunicazione fatta di domande mirate per:

  • richiamare l’attenzione dei lavoratori;
  • spingerli all’azione e alla riflessione;
  • guidare la conversazione e abbattere le convinzioni limitanti.

2- Utilizza il linguaggio del corpo

Una delle cose più spassose della coffin dance, sono sicuramente le movenze particolari dei becchini: attirano l’attenzione e fanno divertire.

Il linguaggio non verbale, fatto di gestualità, movimenti del corpo e respirazione, se usati bene, possono giocare un ruolo fondamentale quando comunichi a lavoratori dall’attenzione volubile.

I comunicatori più esperti usano sapientemente il corpo per rafforzare il loro messaggio.

Ad esempio, Cambiare posizione di tanto in tanto, ti aiuterà a mantenere viva l’attenzione di chi ti ascolta. Ogni gesto che fai quando comunichi, ha valore e rafforza il significato di ciò che stai esprimendo, in positivo o in negativo.

Una respirazione lenta e profonda, può favorire il rilassamento del corpo e influire sulla tua emotività, assicurandoti una corretta ossigenazione.

3- Un evento noioso può diventare leggero e piacevole

Quando la mia professoressa delle superiori entrava in classe e iniziava a leggere i canti della Divina Commedia, nel giro di 5 minuti calava la palpebra e partiva lo sbadiglio, per tutta la classe.

Ricordo che fissavo l’ora in continuazione, sperando che la lancetta dei minuti iniziasse a girare a tutta velocità.

Quando invece ascolto l’interpretazione di Roberto Benigni, della stessa opera, il risultato è completamente opposto: lo ascolto dall’inizio alla fine con molta attenzione, rapito dal suo modo di esporre.

Nella Sicurezza succede la stessa cosa. 

Normalmente i lavoratori che ascoltano il responsabile o consulente di turno, perdono l’attenzione nell’arco di 2 minuti. Hai mai pensato di parlare di Norme e DPI, raccontando storie ed esperienze dirette o persino barzellette?

Ricorda: se vuoi motivare alla sicurezza, non aver paura di uscire dai classici canoni e di sperimentare cose diverse.

Rimarresti sorpreso dal risultato…

Se ci è riuscito un becchino, perché non dovresti riuscirci tu?

Come sfruttare Boris Johnson per motivare alla sicurezza

Qualche settimana fa, mentre l’Italia era già in pieno lockdown con scuole, attività e fabbriche chiuse, a Londra, il Premier britannico Boris Johnson, attuava un approccio più soft.

Nella patria di Shakespeare e dei Beatles infatti, la vita continuava come se niente fosse, con scuole aperte, ristoranti pieni e città affollate.

Non so se lo sai, ma Mister Johnson all’inizio dell’emergenza, se n’è uscito con la famosa frase, forse mal interpretata, (“molti perderanno i loro cari”), che ha fatto scatenare l’ira sui social e degli italiani che vivono a Londra.

Mentre in Italia eravamo isolati e in quarantena, consci del reale pericolo del Coronavirus e con un sistema sanitario quasi al collasso, lì si era deciso di attuare un approccio diverso.

Il buon Boris era convinto di affrontare questa devastante pandemia, minimizzandone l’impatto, ovvero lasciando locali e scuole aperte e non chiudendo del tutto.

Secondo alcune fonti infatti, sembrava che lui volesse attuare la strategia dell’immunità di gregge…

Un approccio decisamente controverso, che non ha avuto i risultati sperati. 

Oltre al danno, la beffa…

Anche se alcuni dicono che le parole del Premier siano state travisate, ciò non conta.

A prescindere dalla strategia che aveva deciso di attuare, il punto è che Johnson ha sottovalutato il problema, e le cifre parlano chiaro: 

129000 positivi e oltre 17000 decessi.

Numeri veramente spaventosi. 

Ma la storia non finisce qui…

Il 27 marzo il Premier ha iniziato ad accusare lievi sintomi del virus, finendo in pochi giorni in terapia intensiva.

Ironia della sorte, proprio lui, un uomo forte e in salute, che poche settimane prima aveva sottovalutato la pericolosità del virus, finisce in un letto di ospedale in bilico tra la vita e la morte.

Ora, lasciando da parte approcci e strategie attuate dai leader mondiali per contenere il virus (solo il tempo ci darà ragione ed esperienza), vorrei soffermarmi su un pensiero in particolare.

Chi poteva prevedere che un virus si sarebbe trasformato in una gigantesca pandemia provocando danni a non finire per tutto il Globo?

Questo io non lo so ma se ci pensi, è un po’ come quando si verifica un incidente all’interno di un’azienda, chi poteva prevederlo?

Difficile a dirsi, ma quando si verificano le prime avvisaglie, i primi sintomi che qualcosa di pericoloso sta per arrivare, è necessario prendere subito delle contromisure.

L’approccio di Johnson, dal punto di vista della sicurezza, è stato quello di sottovalutare gravemente la situazione.

Un po’ come quando tu, consulente della Sicurezza, noti qualcosa che non va nell’azienda, e senti lavoratori che rispondono: 

“Mah… prima che succeda un incidente qui…”

“Non penso ci siano cose da correggere qui in azienda…”

Lo so, sono sicuro che ogni volta ti sanguinano le orecchie quando senti frasi del genere, e ti capisco, ma il punto è un altro.

Il momento di agire

In qualità di leader della Sicurezza in azienda, ci sono 3 step fondamentali che devi seguire (2 dei quali te li ho menzionati menzionati in qualche newsletter fa), per scongiurare le disastrose conseguenze derivanti da infortuni o incidenti:

  1. Anticipare e non sottovalutare quei piccoli segnali che possono provocare le emergenze;
  2. Allineare il team impostando gli obiettivi da seguire;
  3. Agire.

Ora, che cosa significa agire e perché lo abbiamo messo alla fine?

Sia chiaro, l’azione non è ultima perché possa essere trascurata o rimandata, ma semplicemente perché, per risultare più efficace, deve anticipare gli eventi e avere alla spalle un team consapevole dei pericoli.

Un vero leader infatti si focalizza solo sulle cose significative, impostando una serie di azioni efficaci.

Che cosa significa?

Vuol dire che, se ti accorgi che in un determinato settore dell’azienda ci sono dei piccoli segnali che possono presagire il rischio di infortuni, è necessario che imposti un’azione veloce per prevenirli.

Supponiamo il caso che alcuni dei lavoratori più anziani dell’azienda non indossino le dovute protezioni perché “non l’hanno mai fatto”.

Solitamente questi personaggi si sentono anche esperti di sicurezza, con abitudini e convinzioni radicate nel corso della loro lunga esperienza.

Ora, sai bene anche tu che il fatto che non sia mai successo nulla, non significa che non possa accadere.

Proprio per questo, TU, in qualità di leader, dopo aver allineato responsabili o i vari capi reparto, devi agire subito cercando di risolvere il problema.

Ricorda: un’azione deve essere prima di tutto prioritaria e orientata alla velocità.

C’è però un altro punto da rispettare, il momento di fermarsi.

Mi spiego meglio…

Se l’azione risultasse inefficace, è importante riconoscere quando è il momento giusto per fermarsi e cambiare direzione.

È giusto essere persistenti e determinati, ma un vero leader sa riconoscere e valutare coerentemente le proprie azioni e nel caso, cambiare per prenderne di più funzionali.

Il nostro Boris, anche se un po’ troppo tardi, ha saputo riconoscere l’errore e adottare in tempo un approccio un po’ più severo, promuovendo la chiusura delle scuole e limitando gli spostamenti solo se necessari.

RICORDA:

L’azione è ciò che distingue le persone di successo dalle altre.

Sapresti far mangiare la verdura a un bambino?

C’è una frase che amo ripetere spesso nei miei seminari:

“Le persone fanno le cose per i loro motivi, non per i nostri”
Molti consulenti della Sicurezza infatti, sono convinti che basti fornire le proprie motivazioni per spingere i lavoratori a seguirli, per poi accorgersi che all’atto pratico le cose cambiano.

Prendiamo l’esempio dei bambini alle prese con le verdure…

Si sa, i bambini odiano mangiare le verdure e convincerli a farlo, spesso, rappresenta un’impresa.

Immagina la scena:

Da un lato abbiamo il papà, che cerca di spiegare al figlio o figlia i benefici della verdura, spingendo sul fatto che sono ricche di vitamine, preziosi nutrienti, utili al corpo, ecc…

In pratica, cerca di motivare il bimbo a mangiare, esponendo le PROPRIE motivazioni.

La madre invece ha un approccio diverso: 

Trasforma la situazione grottesca in qualcosa di divertente, un gioco con una ricompensa, ma solo quando il piatto sarà vuoto.

In pratica, per raggiungere l’obiettivo, parte da ciò che stimola DAVVERO il bambino, trasformando qualcosa di imposto e non gradito,  in un’esperienza stimolante.

Secondo te, quale dei 2 approcci, si rivelerà vincente?

Ça va sans dire…

Ok, l’esempio potrà sembrarti banali, ma è per farti capire che:

Qualunque azione intrapresa da un essere umano, bambino o adulto che sia, nasce sempre da un bisogno personale.

È un aspetto molto importante perché, anche quando si tratta di guidare i lavoratori verso comportamenti più sicuri, le cose non cambiano.

Ogni Safety Coach sa che deve agire con l’obiettivo di far nascere nel lavoratore l’auto-motivazione, lavorando sul contesto nel quale la persona è inserita, ovvero l’azienda.

Creando le giuste condizioni infatti, le persone saranno spinte a fare ciò che devono, senza sentirsi obbligate.

Uno dei pilastri per fare ciò, è lavorare sull’ambiente.

In questa parte, rientrano tutti quei fattori ambientali e sistemici che influenzano l’insorgere delle motivazioni.

Cosa significa?

Ecco come prendiamo le nostre decisioni: il Sistema 1 e il Sistema 2

Prima di capire come sfruttare l’ambiente a nostro vantaggio, dobbiamo comprendere come prendiamo le nostre decisioni, e per farlo, prenderemo in esame il lavoro di Daniel Kahneman.

Kahneman, Premio Nobel per l’economia nel 2002, è l’autore di uno dei più importanti libri riguardanti le motivazioni d’acquisto: Pensieri lenti e veloci.

In questo bestseller, espone chiaramente i 2 meccanismi con cui il nostro cervello prende le decisioni di tutti i giorni: i cosiddetti Sistema 1 e Sistema 2.

Il Sistema 1, è quello più veloce, primitivo e automatico ed è il responsabile della maggior parte delle azioni che pensiamo e svolgiamo.

Il Sistema 2 invece, è una sorta di fratello maggiore, è più lento, razionale e prende il sopravvento quando le cose si fanno difficili.

Ti faccio un esempio:

Se ti chiedo: quanto fa 1+1? sicuramente in una frazione di secondo, già conoscevi la risposta, giusto?

Bene, il Sistema 1 è entrato subito in azione per darti la risposta.

Ma se ti dicessi di calcolare quanto fa 234×21?

Qui le cose si fanno più difficili, ed ecco che il Sistema 2 prende il controllo a discapito del Sistema 1.

C’è un però…

Entrambi i sistemi sono attivi quando siamo svegli, ma solo uno è il protagonista, l’altro rimane in standby, come un elettrodomestico.

Il Sistema 1 come abbiamo detto, funziona in maniera automatica e produce continuamente spunti, riflessioni e prende decisioni, che solitamente il Sistema 2 accetta come suggerimenti, senza modificarli.

Decidere se indossare il casco protettivo, non è una decisione che richiede calcoli quantistici, ed è attribuita esclusivamente al Sistema 1, senza intervento della sua controparte spesso pigra.

“Ok Matteo, ma che c’entra tutto questo con la motivazione e la sicurezza?”

Ora ci arriviamo…

Per favorire la velocità di una decisione più funzionale, è opportuno semplificare il ragionamento necessario a prenderla.

Cosa significa?

Il lavoro fatto da Kahneman, sui Sistemi 1 e 2, ci deve indurre a costruire ambienti di lavoro che facilitino le scelte di prevenzione e tutela della Sicurezza.

Come? 
  • Posizionando i DPI in luoghi strategici vicini al lavoratore, riducendo di conseguenza il tempo necessario a indossarli;
  • Collocando le informazioni più importanti nelle aree già frequentate, ad esempio negli spazi comuni;
  • Posizionando i cartelli segnalatori all’altezza del viso facilitandone quindi la lettura;
  • Conducendo riunioni e fornendo informazioni in maniera quanto più possibile semplice e intuitiva.

Chiaro il concetto?

Lavorando sul contesto ambientale, e facilitando la possibilità di prendere decisioni più funzionali, favorirai l’auto-motivazione e semplificherai i risultati comportamentali dei lavoratori.

Coronavirus e i “pazienti zero” della Sicurezza

In questi giorni sta facendo scalpore una nuova epidemia mortale diffusasi a Wuhan, in Cina.

Sto parlando proprio del temutissimo Coronavirus.

Un virus piuttosto aggressivo che, secondo alcune stime, ha già seminato morte e terrore portando al decesso 425 pazienti e contagiandone oltre 2000.

Quando si verificano fenomeni epidemici di questo tipo, parte una vera e propria indagine forsennata per arrivare all’identificazione del cosiddetto paziente zero, in modo da capire lo sviluppo dell’epidemia e trovare il modo di debellarla.

Ma chi è il paziente zero?

Possiamo definirlo come la scintilla che accende un’esplosione.

Magari avrai visto qualche film hollywoodiano su questo tema, e forse saprai che il paziente zero è la prima persona che ha contratto la malattia.

Virus e sicurezza: Genesi di un incidente

Ora, anche se il paragone ti potrà sembrare esagerato, questo quadro è simile a quello che accade quando si verificano incidenti all’interno di una qualsiasi realtà lavorativa.

Quando avvengono queste drammatiche situazioni, magari a causa di una norma non rispettata o di una disattenzione, significa che molto probabilmente qualcosa non funziona.

La scarsa attenzione alla Sicurezza sul Lavoro è paragonabile a una malattia, un virus che porta i lavoratori a mettere a repentaglio la loro stessa vita per noncuranza o menefreghismo.

Il compito del professionista della sicurezza è annientare quel virus e fare in modo che le regole vengano rispettate, così da evitare, con ogni possibile mezzo, gli infortuni sul lavoro.

E proprio come avviene con le epidemie virali, il suo ruolo è anche indagare le cause che hanno condotto a Incidenti o Near Miss. Ricercare il paziente zero della Sicurezza.

«Ok Matteo, ma cosa intendi per “paziente zero” in un’azienda?»

Mi riferisco a tutta quella serie di abitudini o atteggiamenti malsani diffuse tra i lavoratori che impediscono il raggiungimento degli obiettivi di Safety.

Disattenzione, menefreghismo, il grande classico “tanto non è mai successo nulla”, ecc…

Erbacce velenose di un giardino che conosci molto bene e, come ben sai, sono molto difficili da estirpare.

La cura al virus: Consapevolezza e Responsabilità

L’obiettivo del professionista della sicurezza cazzuto (che io chiamo Safety Coach), è esattamente quello di porre un rimedio a tutto ciò.

Trovare un vaccino adatto al virus del menefreghismo, della disattenzione e alle pericolose abitudini di lavoro.

Per effettuare un cambiamento così importante, il VERO Safety Coach deve lavorare su 2 livelli: creare consapevolezza e far prendere responsabilità.

Cosa significa all’atto pratico?

La consapevolezza è il risultato di un’attenzione sensoriale focalizzata agli input ambientali.

Migliorando gli input, ovvero le informazioni e gli stimoli che la persona riceve, miglioreranno anche i risultati finali.

La responsabilità invece è data dal coinvolgere direttamente i lavoratori nelle scelte e nelle strategie da adottare rispetto al safety.

In molte aziende, le tematiche riguardanti la sicurezza vengono decise dall’alto (dall’esperto di turno) senza il minimo confronto con i lavoratori, che percepiscono queste regole da rispettare come un’imposizione.

Non avendo voce in capitolo, tenderanno a ridurre il loro livello di attenzione, a incolpare chi ha fornito le direttive in caso di problemi, e a togliersi completamente ogni responsabilità.

Coinvolgendoli attivamente, invece, si sentiranno parte integrante del sistema decisionale, migliorando la percezione positiva nei confronti della sicurezza e assumendosi maggiormente la responsabilità di ciò che fanno.

Un altro dei compiti del responsabile della sicurezza, è anche questo: lavorare sulle potenzialità delle persone e coinvolgerle, guidarle, accompagnandole a mantenere elevati standard di sicurezza.

Motivare le Persone: Emozioni o Sentimenti?

Alzi la mano chi, nella sua vita, non abbia desiderato almeno una volta di migliorare la propria motivazione.

Che si tratti di perseguire con più costanza un piano di allenamenti, di essere rigidi nel mettersi a dieta o magari di lavorare con più entusiasmo, per come la si metta giù la motivazione interessa tutti gli esseri umani.
Per quanto riguarda i professionisti della Sicurezza la sfida diventa doppia: motivare se stessi a dare il massimo nel proprio ruolo e aiutare le organizzazioni a comprendere l’importanza di norme comportamentali e prescrizioni.

Ecco allora che spesso, nella aule di formazione, nelle riunioni di coordinamento o nei corridoi aziendali, si inseriscono con energia speech motivazionali, pacche sulle spalle o i famigerati video shock della Sicurezza.

Ma cosa possiamo dire allora del rapporto tra emozioni e motivazione umana?

Che legame c’è tra quel video terrificante di un incidente sul lavoro (preso da internet) e il miglioramento dei comportamenti all’interno di un azienda? Come dobbiamo utilizzare le emozioni per cambiare davvero le cose?

La nostra analisi deve anzitutto partire dalla ricerca di una definizione del termine: cosa sono le emozioni?

Tutti hanno provato emozioni come paura, collera, amore, odio, gioia.. Sono stati mentali, delle cui motivazioni possiamo essere pienamente consapevoli, ma che viviamo anche senza avere un’adeguata conoscenza delle cause.

Può succedere per esempio di essere sgarbati o cortesi, disponibili o scontrosi, evitare un pericolo o essere attratti e affascinati da un paesaggio o da un’opera d’arte senza sapere il perché.

Seppur sia viva in noi una certa familiarità con le emozioni, secondo Fehr e Russel “Ognuno sa che cos’è un’emozione finché gli si chiede di definirla”.
Le emozioni sono difficili da verbalizzare perché operano in uno spazio psichico e neurale al quale la coscienza ha difficoltà di accesso.

Motivare alla Sicurezza con le emozioni

Chi mi conosce da tempo sa che io non ho assolutamente nulla contro i video shock o le attività che aumentano l’intensità emotiva associata a un determinato concetto. Anzi.


Sono il primo sostenitore di un’idea fondamentale:

Le emozioni giocano un ruolo cruciale nelle nostre scelte
Il problema di molti di questi approccio emozionali della Sicurezza è che non tengono conto della natura biologica del nostro cervello.

Siamo certi che un’immagine di terrore (che andrà a stimolare la nostra amigdala) ci condurrà con costanza all’utilizzo dei DPI?

Siamo certi che uno speech motivazionale alla guru ameriggano farà maturare una reale consapevolezza e attenzione ai rischi?

“Ok Matteo, quindi fammi capire che devo fare io in concreto per ottenere risultati?”

Il segreto mio giovane Jedi è preoccuparsi di un altro concetto ben più importante: i sentimenti.

Il ruolo cruciale dei Sentimenti nella Motivazione

Sono stanco di ripeterlo, ma fa sempre bene: la motivazione deve essere sempre intesa come auto-motivazione.

Il problema delle emozioni è che nascono e muoiono in fretta, sono difficili da gestire e non abbiamo nessuna evidenza osservabile sulla loro qualità (come facciamo a sapere che un’immagine indurrà la stessa reazione psico-fisica in un’altra persona?)

Invece di preoccuparti solo delle emozioni, dovresti iniziare a far sviluppare sentimenti verso la Sicurezza.

Le emozioni sono istintive, costituiscono anche il sistema di allerta e sopravvivenza del nostro organismo.

Per provare un sentimento, invece, bisogna pensare a quello che è successo (valutare l’emozione), riflettere su come ci siamo comportati e così iniziare a elaborarlo mentalmente.

Il nostro organismo possiede un meccanismo eccellente di motivazione: i sentimenti.

Il sentimento è quello che “resta” dopo l’emozione. Una delle principali differenze tra emozioni e sentimenti, infatti, è che i secondi vengono gestiti poco per volta, possono persistere per giorni, settimane, mesi e persino anni.

Che senso ha far provare 5 minuti di orrore e paura a un operaio che poi nel suo dialogo mentale continuerà a dirsi “tanto a me non succederà, io sono esperto?”


A cosa servono proiezioni catastrofiche se un Dirigente continua a pensare “Ho altre priorità, questa cosa la comprendo ma non ho tempo?”

I sentimenti ci dicono come vivere la nostra vita.

Ricorda: quello che davvero fa la differenza nel tuo successo come professionista è la tua capacità nel far nascere sentimenti positivi, nei confronti della Sicurezza, nelle altre persone.

Nel nostro metodo Safety Coaching condividiamo proprio gli strumenti necessari a gestire, elaborare e comprendere questi complessi aspetti della natura umana: emozioni e sentimenti.

Fare Sicurezza? Non è un mestiere facile

Giovedì scorso si è conclusa Ambiente Lavoro, la 19esima edizione del Salone della Salute e Sicurezza sul Lavoro.

Come ogni anno la manifestazione ha offerto a tutti i visitatori convegni, relazioni, conferenze e, per la prima volta, anche diverse esperienze pratiche e interattive.

Anche noi della Safety Coach Federation abbiamo presenziato con la nostra conferenza dal titolo “Motivare alla Sicurezza: i supereroi del Safety“.

Questo titolo, volutamente sopra le righe, mi ha permesso di spiegare a tanti professionisti il mio pensiero e il senso di ciò che facciamo nella Federazione.

Tutto parte da un’analisi molto semplice sulla realtà che ci circonda.

Ogni giorno ti scontri con la scarsa attenzione dei lavoratori, col menefreghismo di una buona parte di Dirigenti e Datori di Lavoro e con una burocrazia sempre più opprimente.

In questo scenario già difficile si aggiunge la complessità di gestire clienti che pagano in ritardo, fornitori distratti, innumerevoli diplomifici e pseudo-consulenti che si limitano a fare DVR copia/incolla e a produrre scartoffie rubandoti i clienti o erogando falsa formazione.

Insomma che tu sia un consulente esterno o un dipendente in azienda la questione è molto semplice: fare Sicurezza è diventato ultra-complicato.

Oggi per fare la differenza, per garantire professionalità e per cambiare davvero la cultura della Sicurezza nelle aziende è necessario un cambio di passo.

La mia idea di fondo, che condivido da anni con centinaia di professionisti come te, è che aumentando le proprie competenze si possa diventare un vero punto di riferimento per le proprie organizzazioni.

In un mercato del lavoro così complesso, solo chi sarà in grado di distinguersi dalla massa e di offrire più di qualche pezzo di carta riuscirà a rendersi indispensabile e a portare risultati tangibili.

I nostri programmi di formazione nascono proprio con lo scopo di accompagnare tutti i professionisti della Sicurezza alla migliore evoluzione professionale.

Passare dall’essere bravi all’essere indispensabili. Passare dall’essere “Quello che fa Sicurezza” all’essere il punto di riferimento della nostra azienda.

Ma cosa serve per fare questo salto evolutivo? Cosa ci permette davvero di ottenere questa evoluzione personale?

La prima cosa necessaria per fare Sicurezza è la conoscenza tecnica. Se conosci le norme, le procedure di prevenzione, i DPI da adottare e così via sei già un gran passo avanti.

Ma questo non basta più!

Quello che aggiunge reale valore alla tua professione è la tua capacità di condividere la conoscenza a tutti i livelli aziendali. Solo acquisendo strategie per motivare e coinvolgere tutto il personale aziendale potrai davvero fare la differenza.

Solo se sarai in grado di ascoltare, di dialogare e di relazionarti efficacemente con gli altri potrai incidere e assumere il ruolo di Super Professionista del Safety.