Come sfruttare Boris Johnson per motivare alla sicurezza

Qualche settimana fa, mentre l’Italia era già in pieno lockdown con scuole, attività e fabbriche chiuse, a Londra, il Premier britannico Boris Johnson, attuava un approccio più soft.

Nella patria di Shakespeare e dei Beatles infatti, la vita continuava come se niente fosse, con scuole aperte, ristoranti pieni e città affollate.

Non so se lo sai, ma Mister Johnson all’inizio dell’emergenza, se n’è uscito con la famosa frase, forse mal interpretata, (“molti perderanno i loro cari”), che ha fatto scatenare l’ira sui social e degli italiani che vivono a Londra.

Mentre in Italia eravamo isolati e in quarantena, consci del reale pericolo del Coronavirus e con un sistema sanitario quasi al collasso, lì si era deciso di attuare un approccio diverso.

Il buon Boris era convinto di affrontare questa devastante pandemia, minimizzandone l’impatto, ovvero lasciando locali e scuole aperte e non chiudendo del tutto.

Secondo alcune fonti infatti, sembrava che lui volesse attuare la strategia dell’immunità di gregge…

Un approccio decisamente controverso, che non ha avuto i risultati sperati. 

Oltre al danno, la beffa…

Anche se alcuni dicono che le parole del Premier siano state travisate, ciò non conta.

A prescindere dalla strategia che aveva deciso di attuare, il punto è che Johnson ha sottovalutato il problema, e le cifre parlano chiaro: 

129000 positivi e oltre 17000 decessi.

Numeri veramente spaventosi. 

Ma la storia non finisce qui…

Il 27 marzo il Premier ha iniziato ad accusare lievi sintomi del virus, finendo in pochi giorni in terapia intensiva.

Ironia della sorte, proprio lui, un uomo forte e in salute, che poche settimane prima aveva sottovalutato la pericolosità del virus, finisce in un letto di ospedale in bilico tra la vita e la morte.

Ora, lasciando da parte approcci e strategie attuate dai leader mondiali per contenere il virus (solo il tempo ci darà ragione ed esperienza), vorrei soffermarmi su un pensiero in particolare.

Chi poteva prevedere che un virus si sarebbe trasformato in una gigantesca pandemia provocando danni a non finire per tutto il Globo?

Questo io non lo so ma se ci pensi, è un po’ come quando si verifica un incidente all’interno di un’azienda, chi poteva prevederlo?

Difficile a dirsi, ma quando si verificano le prime avvisaglie, i primi sintomi che qualcosa di pericoloso sta per arrivare, è necessario prendere subito delle contromisure.

L’approccio di Johnson, dal punto di vista della sicurezza, è stato quello di sottovalutare gravemente la situazione.

Un po’ come quando tu, consulente della Sicurezza, noti qualcosa che non va nell’azienda, e senti lavoratori che rispondono: 

“Mah… prima che succeda un incidente qui…”

“Non penso ci siano cose da correggere qui in azienda…”

Lo so, sono sicuro che ogni volta ti sanguinano le orecchie quando senti frasi del genere, e ti capisco, ma il punto è un altro.

Il momento di agire

In qualità di leader della Sicurezza in azienda, ci sono 3 step fondamentali che devi seguire (2 dei quali te li ho menzionati menzionati in qualche newsletter fa), per scongiurare le disastrose conseguenze derivanti da infortuni o incidenti:

  1. Anticipare e non sottovalutare quei piccoli segnali che possono provocare le emergenze;
  2. Allineare il team impostando gli obiettivi da seguire;
  3. Agire.

Ora, che cosa significa agire e perché lo abbiamo messo alla fine?

Sia chiaro, l’azione non è ultima perché possa essere trascurata o rimandata, ma semplicemente perché, per risultare più efficace, deve anticipare gli eventi e avere alla spalle un team consapevole dei pericoli.

Un vero leader infatti si focalizza solo sulle cose significative, impostando una serie di azioni efficaci.

Che cosa significa?

Vuol dire che, se ti accorgi che in un determinato settore dell’azienda ci sono dei piccoli segnali che possono presagire il rischio di infortuni, è necessario che imposti un’azione veloce per prevenirli.

Supponiamo il caso che alcuni dei lavoratori più anziani dell’azienda non indossino le dovute protezioni perché “non l’hanno mai fatto”.

Solitamente questi personaggi si sentono anche esperti di sicurezza, con abitudini e convinzioni radicate nel corso della loro lunga esperienza.

Ora, sai bene anche tu che il fatto che non sia mai successo nulla, non significa che non possa accadere.

Proprio per questo, TU, in qualità di leader, dopo aver allineato responsabili o i vari capi reparto, devi agire subito cercando di risolvere il problema.

Ricorda: un’azione deve essere prima di tutto prioritaria e orientata alla velocità.

C’è però un altro punto da rispettare, il momento di fermarsi.

Mi spiego meglio…

Se l’azione risultasse inefficace, è importante riconoscere quando è il momento giusto per fermarsi e cambiare direzione.

È giusto essere persistenti e determinati, ma un vero leader sa riconoscere e valutare coerentemente le proprie azioni e nel caso, cambiare per prenderne di più funzionali.

Il nostro Boris, anche se un po’ troppo tardi, ha saputo riconoscere l’errore e adottare in tempo un approccio un po’ più severo, promuovendo la chiusura delle scuole e limitando gli spostamenti solo se necessari.

RICORDA:

L’azione è ciò che distingue le persone di successo dalle altre.

Sapresti far mangiare la verdura a un bambino?

C’è una frase che amo ripetere spesso nei miei seminari:

“Le persone fanno le cose per i loro motivi, non per i nostri”
Molti consulenti della Sicurezza infatti, sono convinti che basti fornire le proprie motivazioni per spingere i lavoratori a seguirli, per poi accorgersi che all’atto pratico le cose cambiano.

Prendiamo l’esempio dei bambini alle prese con le verdure…

Si sa, i bambini odiano mangiare le verdure e convincerli a farlo, spesso, rappresenta un’impresa.

Immagina la scena:

Da un lato abbiamo il papà, che cerca di spiegare al figlio o figlia i benefici della verdura, spingendo sul fatto che sono ricche di vitamine, preziosi nutrienti, utili al corpo, ecc…

In pratica, cerca di motivare il bimbo a mangiare, esponendo le PROPRIE motivazioni.

La madre invece ha un approccio diverso: 

Trasforma la situazione grottesca in qualcosa di divertente, un gioco con una ricompensa, ma solo quando il piatto sarà vuoto.

In pratica, per raggiungere l’obiettivo, parte da ciò che stimola DAVVERO il bambino, trasformando qualcosa di imposto e non gradito,  in un’esperienza stimolante.

Secondo te, quale dei 2 approcci, si rivelerà vincente?

Ça va sans dire…

Ok, l’esempio potrà sembrarti banali, ma è per farti capire che:

Qualunque azione intrapresa da un essere umano, bambino o adulto che sia, nasce sempre da un bisogno personale.

È un aspetto molto importante perché, anche quando si tratta di guidare i lavoratori verso comportamenti più sicuri, le cose non cambiano.

Ogni Safety Coach sa che deve agire con l’obiettivo di far nascere nel lavoratore l’auto-motivazione, lavorando sul contesto nel quale la persona è inserita, ovvero l’azienda.

Creando le giuste condizioni infatti, le persone saranno spinte a fare ciò che devono, senza sentirsi obbligate.

Uno dei pilastri per fare ciò, è lavorare sull’ambiente.

In questa parte, rientrano tutti quei fattori ambientali e sistemici che influenzano l’insorgere delle motivazioni.

Cosa significa?

Ecco come prendiamo le nostre decisioni: il Sistema 1 e il Sistema 2

Prima di capire come sfruttare l’ambiente a nostro vantaggio, dobbiamo comprendere come prendiamo le nostre decisioni, e per farlo, prenderemo in esame il lavoro di Daniel Kahneman.

Kahneman, Premio Nobel per l’economia nel 2002, è l’autore di uno dei più importanti libri riguardanti le motivazioni d’acquisto: Pensieri lenti e veloci.

In questo bestseller, espone chiaramente i 2 meccanismi con cui il nostro cervello prende le decisioni di tutti i giorni: i cosiddetti Sistema 1 e Sistema 2.

Il Sistema 1, è quello più veloce, primitivo e automatico ed è il responsabile della maggior parte delle azioni che pensiamo e svolgiamo.

Il Sistema 2 invece, è una sorta di fratello maggiore, è più lento, razionale e prende il sopravvento quando le cose si fanno difficili.

Ti faccio un esempio:

Se ti chiedo: quanto fa 1+1? sicuramente in una frazione di secondo, già conoscevi la risposta, giusto?

Bene, il Sistema 1 è entrato subito in azione per darti la risposta.

Ma se ti dicessi di calcolare quanto fa 234×21?

Qui le cose si fanno più difficili, ed ecco che il Sistema 2 prende il controllo a discapito del Sistema 1.

C’è un però…

Entrambi i sistemi sono attivi quando siamo svegli, ma solo uno è il protagonista, l’altro rimane in standby, come un elettrodomestico.

Il Sistema 1 come abbiamo detto, funziona in maniera automatica e produce continuamente spunti, riflessioni e prende decisioni, che solitamente il Sistema 2 accetta come suggerimenti, senza modificarli.

Decidere se indossare il casco protettivo, non è una decisione che richiede calcoli quantistici, ed è attribuita esclusivamente al Sistema 1, senza intervento della sua controparte spesso pigra.

“Ok Matteo, ma che c’entra tutto questo con la motivazione e la sicurezza?”

Ora ci arriviamo…

Per favorire la velocità di una decisione più funzionale, è opportuno semplificare il ragionamento necessario a prenderla.

Cosa significa?

Il lavoro fatto da Kahneman, sui Sistemi 1 e 2, ci deve indurre a costruire ambienti di lavoro che facilitino le scelte di prevenzione e tutela della Sicurezza.

Come? 
  • Posizionando i DPI in luoghi strategici vicini al lavoratore, riducendo di conseguenza il tempo necessario a indossarli;
  • Collocando le informazioni più importanti nelle aree già frequentate, ad esempio negli spazi comuni;
  • Posizionando i cartelli segnalatori all’altezza del viso facilitandone quindi la lettura;
  • Conducendo riunioni e fornendo informazioni in maniera quanto più possibile semplice e intuitiva.

Chiaro il concetto?

Lavorando sul contesto ambientale, e facilitando la possibilità di prendere decisioni più funzionali, favorirai l’auto-motivazione e semplificherai i risultati comportamentali dei lavoratori.

Coronavirus e i “pazienti zero” della Sicurezza

In questi giorni sta facendo scalpore una nuova epidemia mortale diffusasi a Wuhan, in Cina.

Sto parlando proprio del temutissimo Coronavirus.

Un virus piuttosto aggressivo che, secondo alcune stime, ha già seminato morte e terrore portando al decesso 425 pazienti e contagiandone oltre 2000.

Quando si verificano fenomeni epidemici di questo tipo, parte una vera e propria indagine forsennata per arrivare all’identificazione del cosiddetto paziente zero, in modo da capire lo sviluppo dell’epidemia e trovare il modo di debellarla.

Ma chi è il paziente zero?

Possiamo definirlo come la scintilla che accende un’esplosione.

Magari avrai visto qualche film hollywoodiano su questo tema, e forse saprai che il paziente zero è la prima persona che ha contratto la malattia.

Virus e sicurezza: Genesi di un incidente

Ora, anche se il paragone ti potrà sembrare esagerato, questo quadro è simile a quello che accade quando si verificano incidenti all’interno di una qualsiasi realtà lavorativa.

Quando avvengono queste drammatiche situazioni, magari a causa di una norma non rispettata o di una disattenzione, significa che molto probabilmente qualcosa non funziona.

La scarsa attenzione alla Sicurezza sul Lavoro è paragonabile a una malattia, un virus che porta i lavoratori a mettere a repentaglio la loro stessa vita per noncuranza o menefreghismo.

Il compito del professionista della sicurezza è annientare quel virus e fare in modo che le regole vengano rispettate, così da evitare, con ogni possibile mezzo, gli infortuni sul lavoro.

E proprio come avviene con le epidemie virali, il suo ruolo è anche indagare le cause che hanno condotto a Incidenti o Near Miss. Ricercare il paziente zero della Sicurezza.

«Ok Matteo, ma cosa intendi per “paziente zero” in un’azienda?»

Mi riferisco a tutta quella serie di abitudini o atteggiamenti malsani diffuse tra i lavoratori che impediscono il raggiungimento degli obiettivi di Safety.

Disattenzione, menefreghismo, il grande classico “tanto non è mai successo nulla”, ecc…

Erbacce velenose di un giardino che conosci molto bene e, come ben sai, sono molto difficili da estirpare.

La cura al virus: Consapevolezza e Responsabilità

L’obiettivo del professionista della sicurezza cazzuto (che io chiamo Safety Coach), è esattamente quello di porre un rimedio a tutto ciò.

Trovare un vaccino adatto al virus del menefreghismo, della disattenzione e alle pericolose abitudini di lavoro.

Per effettuare un cambiamento così importante, il VERO Safety Coach deve lavorare su 2 livelli: creare consapevolezza e far prendere responsabilità.

Cosa significa all’atto pratico?

La consapevolezza è il risultato di un’attenzione sensoriale focalizzata agli input ambientali.

Migliorando gli input, ovvero le informazioni e gli stimoli che la persona riceve, miglioreranno anche i risultati finali.

La responsabilità invece è data dal coinvolgere direttamente i lavoratori nelle scelte e nelle strategie da adottare rispetto al safety.

In molte aziende, le tematiche riguardanti la sicurezza vengono decise dall’alto (dall’esperto di turno) senza il minimo confronto con i lavoratori, che percepiscono queste regole da rispettare come un’imposizione.

Non avendo voce in capitolo, tenderanno a ridurre il loro livello di attenzione, a incolpare chi ha fornito le direttive in caso di problemi, e a togliersi completamente ogni responsabilità.

Coinvolgendoli attivamente, invece, si sentiranno parte integrante del sistema decisionale, migliorando la percezione positiva nei confronti della sicurezza e assumendosi maggiormente la responsabilità di ciò che fanno.

Un altro dei compiti del responsabile della sicurezza, è anche questo: lavorare sulle potenzialità delle persone e coinvolgerle, guidarle, accompagnandole a mantenere elevati standard di sicurezza.

Motivare le Persone: Emozioni o Sentimenti?

Alzi la mano chi, nella sua vita, non abbia desiderato almeno una volta di migliorare la propria motivazione.

Che si tratti di perseguire con più costanza un piano di allenamenti, di essere rigidi nel mettersi a dieta o magari di lavorare con più entusiasmo, per come la si metta giù la motivazione interessa tutti gli esseri umani.
Per quanto riguarda i professionisti della Sicurezza la sfida diventa doppia: motivare se stessi a dare il massimo nel proprio ruolo e aiutare le organizzazioni a comprendere l’importanza di norme comportamentali e prescrizioni.

Ecco allora che spesso, nella aule di formazione, nelle riunioni di coordinamento o nei corridoi aziendali, si inseriscono con energia speech motivazionali, pacche sulle spalle o i famigerati video shock della Sicurezza.

Ma cosa possiamo dire allora del rapporto tra emozioni e motivazione umana?

Che legame c’è tra quel video terrificante di un incidente sul lavoro (preso da internet) e il miglioramento dei comportamenti all’interno di un azienda? Come dobbiamo utilizzare le emozioni per cambiare davvero le cose?

La nostra analisi deve anzitutto partire dalla ricerca di una definizione del termine: cosa sono le emozioni?

Tutti hanno provato emozioni come paura, collera, amore, odio, gioia.. Sono stati mentali, delle cui motivazioni possiamo essere pienamente consapevoli, ma che viviamo anche senza avere un’adeguata conoscenza delle cause.

Può succedere per esempio di essere sgarbati o cortesi, disponibili o scontrosi, evitare un pericolo o essere attratti e affascinati da un paesaggio o da un’opera d’arte senza sapere il perché.

Seppur sia viva in noi una certa familiarità con le emozioni, secondo Fehr e Russel “Ognuno sa che cos’è un’emozione finché gli si chiede di definirla”.
Le emozioni sono difficili da verbalizzare perché operano in uno spazio psichico e neurale al quale la coscienza ha difficoltà di accesso.

Motivare alla Sicurezza con le emozioni

Chi mi conosce da tempo sa che io non ho assolutamente nulla contro i video shock o le attività che aumentano l’intensità emotiva associata a un determinato concetto. Anzi.


Sono il primo sostenitore di un’idea fondamentale:

Le emozioni giocano un ruolo cruciale nelle nostre scelte
Il problema di molti di questi approccio emozionali della Sicurezza è che non tengono conto della natura biologica del nostro cervello.

Siamo certi che un’immagine di terrore (che andrà a stimolare la nostra amigdala) ci condurrà con costanza all’utilizzo dei DPI?

Siamo certi che uno speech motivazionale alla guru ameriggano farà maturare una reale consapevolezza e attenzione ai rischi?

“Ok Matteo, quindi fammi capire che devo fare io in concreto per ottenere risultati?”

Il segreto mio giovane Jedi è preoccuparsi di un altro concetto ben più importante: i sentimenti.

Il ruolo cruciale dei Sentimenti nella Motivazione

Sono stanco di ripeterlo, ma fa sempre bene: la motivazione deve essere sempre intesa come auto-motivazione.

Il problema delle emozioni è che nascono e muoiono in fretta, sono difficili da gestire e non abbiamo nessuna evidenza osservabile sulla loro qualità (come facciamo a sapere che un’immagine indurrà la stessa reazione psico-fisica in un’altra persona?)

Invece di preoccuparti solo delle emozioni, dovresti iniziare a far sviluppare sentimenti verso la Sicurezza.

Le emozioni sono istintive, costituiscono anche il sistema di allerta e sopravvivenza del nostro organismo.

Per provare un sentimento, invece, bisogna pensare a quello che è successo (valutare l’emozione), riflettere su come ci siamo comportati e così iniziare a elaborarlo mentalmente.

Il nostro organismo possiede un meccanismo eccellente di motivazione: i sentimenti.

Il sentimento è quello che “resta” dopo l’emozione. Una delle principali differenze tra emozioni e sentimenti, infatti, è che i secondi vengono gestiti poco per volta, possono persistere per giorni, settimane, mesi e persino anni.

Che senso ha far provare 5 minuti di orrore e paura a un operaio che poi nel suo dialogo mentale continuerà a dirsi “tanto a me non succederà, io sono esperto?”


A cosa servono proiezioni catastrofiche se un Dirigente continua a pensare “Ho altre priorità, questa cosa la comprendo ma non ho tempo?”

I sentimenti ci dicono come vivere la nostra vita.

Ricorda: quello che davvero fa la differenza nel tuo successo come professionista è la tua capacità nel far nascere sentimenti positivi, nei confronti della Sicurezza, nelle altre persone.

Nel nostro metodo Safety Coaching condividiamo proprio gli strumenti necessari a gestire, elaborare e comprendere questi complessi aspetti della natura umana: emozioni e sentimenti.

Fare Sicurezza? Non è un mestiere facile

Giovedì scorso si è conclusa Ambiente Lavoro, la 19esima edizione del Salone della Salute e Sicurezza sul Lavoro.

Come ogni anno la manifestazione ha offerto a tutti i visitatori convegni, relazioni, conferenze e, per la prima volta, anche diverse esperienze pratiche e interattive.

Anche noi della Safety Coach Federation abbiamo presenziato con la nostra conferenza dal titolo “Motivare alla Sicurezza: i supereroi del Safety“.

Questo titolo, volutamente sopra le righe, mi ha permesso di spiegare a tanti professionisti il mio pensiero e il senso di ciò che facciamo nella Federazione.

Tutto parte da un’analisi molto semplice sulla realtà che ci circonda.

Ogni giorno ti scontri con la scarsa attenzione dei lavoratori, col menefreghismo di una buona parte di Dirigenti e Datori di Lavoro e con una burocrazia sempre più opprimente.

In questo scenario già difficile si aggiunge la complessità di gestire clienti che pagano in ritardo, fornitori distratti, innumerevoli diplomifici e pseudo-consulenti che si limitano a fare DVR copia/incolla e a produrre scartoffie rubandoti i clienti o erogando falsa formazione.

Insomma che tu sia un consulente esterno o un dipendente in azienda la questione è molto semplice: fare Sicurezza è diventato ultra-complicato.

Oggi per fare la differenza, per garantire professionalità e per cambiare davvero la cultura della Sicurezza nelle aziende è necessario un cambio di passo.

La mia idea di fondo, che condivido da anni con centinaia di professionisti come te, è che aumentando le proprie competenze si possa diventare un vero punto di riferimento per le proprie organizzazioni.

In un mercato del lavoro così complesso, solo chi sarà in grado di distinguersi dalla massa e di offrire più di qualche pezzo di carta riuscirà a rendersi indispensabile e a portare risultati tangibili.

I nostri programmi di formazione nascono proprio con lo scopo di accompagnare tutti i professionisti della Sicurezza alla migliore evoluzione professionale.

Passare dall’essere bravi all’essere indispensabili. Passare dall’essere “Quello che fa Sicurezza” all’essere il punto di riferimento della nostra azienda.

Ma cosa serve per fare questo salto evolutivo? Cosa ci permette davvero di ottenere questa evoluzione personale?

La prima cosa necessaria per fare Sicurezza è la conoscenza tecnica. Se conosci le norme, le procedure di prevenzione, i DPI da adottare e così via sei già un gran passo avanti.

Ma questo non basta più!

Quello che aggiunge reale valore alla tua professione è la tua capacità di condividere la conoscenza a tutti i livelli aziendali. Solo acquisendo strategie per motivare e coinvolgere tutto il personale aziendale potrai davvero fare la differenza.

Solo se sarai in grado di ascoltare, di dialogare e di relazionarti efficacemente con gli altri potrai incidere e assumere il ruolo di Super Professionista del Safety.

Sicurezza Lavoro: incoraggiare è meglio che proibire

Esci dalla metropolitana. Stai per imboccare le scale mobili, come fai ogni mattina. Poi alzi lo sguardo e vedi che è successo qualcosa di strano.

Le adiacenti scale in cemento sono state dipinte e sembrano i tasti di un enorme pianoforte. Ogni gradino un tasto bianco e nero. Ogni passo produce inoltre un suono diverso. Anche se sono le 8.25 di lunedì e sei in ritardo, ti scappa un sorriso.

E le scale le fai a piedi, anche se non lo fai mai. Anche se è più faticoso.

Comparse per la prima volta a Stoccolma come iniziativa sponsorizzata da Wolkswagen, l’esperimento delle scale sonore è poi sbarcato anche in Italia, a Roma e Milano.

In Svezia, il 66% delle persone ha scelto di rinunciare alle scale mobili per suonare qualche nota uscendo dalla metropolitana. A Milano, il 96% di quelli che saltellavano sui gradini musicali aveva il sorriso sulle labbra, contro il 2% di quelli sulle scale mobili. Persone insospettabili andavano su e giù più di una volta per creare la loro melodia personalizzata.

Trasformando le scale in un pianoforte gigante che tutti possono suonare, le persone sono state messe di fronte alla possibilità di fare una scelta salutare: fare movimento salendo i gradini in modo spontaneo.

Non chiudendo le scale mobili o apponendo cartelli minacciosi in giro per la stazione.

Si è arrivati all’obiettivo desiderato offrendo un’esperienza divertente e coinvolgente.

Questa che ti sto raccontando è la Fun Theory, il concetto per cui se una cosa è divertente le persone sceglieranno spontaneamente di farla.

Perché te ne sto parlando? Perché so che ogni giorno cerchi di convincere le persone a fare la scelta “giusta” per la propria sicurezza e incolumità. Cerchi di convincerli, con le buone o con le cattive, snocciolando regolamenti, procedure e dati statistici o spaventandoli con percentuali di infortuni per riattivare l’attenzione.

Eppure molto spesso finisci per essere inascoltato o, peggio ancora, per essere etichettato come “il rompiscatole della sicurezza”. Non proprio gratificante, che ne dici?

Qui entra in tuo aiuto la filosofia del gentle nudge.

Tradotto in italiano come “spinta gentile”, si tratta di una teoria elaborata dall’economista americano Richard Thaler. Il gentle nudge ha conquistato personaggi come Barack Obama, che ha voluto addirittura una “nudge unit” nel suo governo, ed è valso a Thaler un premio Nobel per le sue teorie comportamentali. Lo slogan nudge for good consiste nell’incoraggiare le persone a compiere spontaneamente un comportamento positivo, attraverso piccoli interventi nell’ambiente o incentivi.

Per quanto possa apparire strano, le neuroscienze hanno dimostrato che non sempre il nostro cervello opera delle scelte sulla base della logica e della razionalità (sistema riflessivo). Molto più spesso, tende a decidere sulla base di un sistema automatico, basato sull’istinto e “a basso consumo di energia”.

Ecco perché cercare di convincere le persone ad assumere comportamenti sicuri sulla base di sacrosante spiegazioni razionali (“se non indossi i DPI potresti farti male”) non sempre è efficace.

Potrebbe essere meglio modificare l’ambiente di lavoro cercando di rendere la scelta corretta più facile da eseguire e immediata. Per esempio posizionando i DPI in un luogo strategico e di passaggio, un po’ come quando al supermercato trovi le caramelle mentre sei in coda alla cassa, oppure costruire giochi formativi ad hoc per la tua realtà, così da coinvolgere tutti e facilitare l’impegno per la Sicurezza.

Il tuo obiettivo è predisporre il comportamento conforme alle normative di sicurezza come quello “di default”. Il nostro cervello, infatti, è molto più pigro di quello che pensiamo. Quando siamo al computer, se una certa opzione compare già selezionata di default, spesso tendiamo a non prenderci la briga di deselezionarla. Anche se ne abbiamo la possibilità, naturalmente.

Nelle mense scolastiche americane, si è osservato che posizionando frutta e verdura ad altezza occhi e rendendone più facile l’accesso, il consumo medio da parte dei bambini cresceva notevolmente.

Noi esseri umani tendiamo a scegliere l’opzione più semplice, anche quando la posta in gioco è alta. Tra i compiti di un Safety Coach è fondamentale anche lo studio dell’architettura delle scelte, così da semplificare l’accesso all’opzione desiderata.

Il Nudge è un pungolo, un colpetto volto a orientare il comportamento, mantenendo la libertà di scelta e senza porre divieti, ma offrendo un’alternativa positiva.